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Emily Dickinson. Vita d’Amore e Poesia – recensione sul Quotidiano del Sud

Il 22 aprile, sul Quotidiano del Sud, è uscita un’interessante recensione di Emily Dickinson. Vita d’Amore e Poesia di María-Milagros Rivera Garretas, scritta da Franca Fortunato.

Potete leggerla qui sotto:

Emily Dickinson – un tesoro fatto di parole

EMILY Dickinson è una delle più grandi poete dell’occidente, nata a Amherst in Massachusetts nel 1830. Di lei sono state scritte molte biografie, l’ultima “Emily Dickinson- Storia vera d’amore e poesia” della spagnola Marìa-Milagros Rivera Garrettas, storica, filosofa, saggista, docente all’università di Barcellona. Il libro da pochi giorni in libreria è stato tradotto in italiano da Luciana Tavernini e le poesie che contiene da Loredana Magazzeni. Milagros si accosta ad Emily con delicatezza e tenerezza, entra nelle sue poesie e svela a se stessa e a chi legge la vita, l’esperienza personale, la sofferenza, gli amori che Emily seppe “cantare” con creatività, attingendo a quel “tesoro” che sin da bambina sapeva di avere dentro di sé, “un tesoro fatto di parole” e dedicò “l’intera vita a coltivarlo a condividerlo con la sua famiglia e le sue amicizie. Forse sua madre, Emily Norcross, mentre le insegnava a parlare, si rese conto che lo possedeva e le insegnò ad apprezzarlo”. Un tesoro, “oro puro” da cui scaturirono le sue poesie che scrisse per tutta la vita, ne scrisse più di 1786 che alla sua morte lasciò “con qualche preoccupazione” alla sorella Lavinia. Da viva non volle pubblicare nulla, non cercava né gloria né fama, nonostante fossero conosciute e ammirate tra le sue amicizie. Milagros con pudore si accosta a lei, scende nell’intimo, nelle viscere, nel sentire nella carne e nello spirito di Emily, che lei affidò alla sua poesia narrandone l’“inferno” e il “paradiso”. Nel suo viaggio porta con sé una adolescente, una studentessa, a cui si rivolge con maestria amorevole per istruirla sulla poesia e sulla vita, l’una intrecciata all’altra, di Emily, stando in una genealogia madre figlia. È la madre che si rivolge alla figlia con sensibilità e tenerezza quando spiega alla giovane il grande dolore e sofferenza di Emily a cui “accadde una cosa totalmente orribile che a fatica si può raccontare. Già nell’infanzia le accadde di conoscere la sofferenza estrema. Subì ciò che di solito chiamiamo abusi sessuali e che ha un nome più concreto che è incesto (…). Sia suo padre, Edward, sia suo fratello, Austin, erano uomini violenti che non meritavano di far parte di una famiglia”. Le insegna come nel patriarcato “questi uomini sanno ingannarti e soprattutto sanno proibirti di parlare. Vorresti raccontarlo a tua madre, o alla tua maestra preferita, però hai terrore a parlare, e poi lui te lo ha proibito, inoltre non sai come si chiama ciò che ti è stato fatto e credi che la tua famiglia ne sarebbe distrutta”. Emily provò tutto questo. Anticipando le domande della ragazza sulla madre, su come fosse stato possibile che non si accorgesse di niente, le insegna a non colpevolizzarla, come accade molte volte ancora oggi, perché “capita a volte che nelle case si commettano delitti tanto gravi che non entrano nella testa di nessuna persona, neppure delle madri. Per questo, anche se la madre sospetta qualcosa sta succedendo, non può crederci e non agisce”. È la grande sofferenza dell’incesto, da cui non si lasciò pietrificare, che le lasciò aperta la porta della creatività, della vita e della felicità, lo fece uscire dal suo corpo creando un “vuoto e posto uno spazio tra sé e l’incesto”. Spazio che lei esprime con l’allegoria del bianco, simbolo della recuperata “purezza e del suo sentire immacolato originario, quello che aveva alla nascita”. Ad autorizzarla ad aprire ed attraversare quella porta fu la relazione con una donna, Susan H. Gilbert, sua compagna di studi, di cui parla in quasi tutte le sue poesie o a cui le dedica. Poesie che Susan leggeva, commentava e gliele rendeva con annotati i suoi suggerimenti. Rivolta alla sua giovane allieva, Milagros la istruisce sull’amore di Emily per Susan. “Nelle sue poesie troverai, quando le leggerai, descrizioni bellissime e originali della sessualità che è già mistica, e lo è perché non scandalizza. Nella poesia di Emily Dickinson c’è quasi tutto quello che si può desiderare sapere della sessualità femminile non orientata alla procreazione ma al piacere. Ma soprattutto senza espressioni crude, sgradevoli o amare ma con la massima bellezza e delicatezza”. Emily, convinta che non era possibile vivere con Susan, a un certo punto la convinse a sposare il fratello, Austin, e da allora per il resto della loro vita “sarebbero state separate solo da una siepe, un sentiero, uno scalino di lava e una porta socchiusa. E avrebbero potuto vedersi con moltissima frequenza”. Non dice perché proprio con il fratello incestuoso, ma fa intuire che tra i tre ci fu un accordo per un matrimonio in bianco. È quando il fratello ruppe l’accordo che Emily decise di cambiare vita, rinchiudersi liberamente in casa e dedicarsi alla poesia, all’amicizia, all’amore e ai fiori rari. Mostrò il cambiamento vestendosi da allora sempre di bianco e vedendo solo chi le interessava davvero. Morì il 15 maggio 1886 nella casa dove era nata e che non aveva mai lasciato. Da due anni era molto malata. Ogni qualvolta le sue poesie vengono tradotte, copiate, studiate, pubblicate, lette e ammirate lei resuscita e guadagna così l’immortalità che voleva. Un libro straordinario, unico nel suo genere questo di Milagros, che trabocca d’amore femminile per la madre, scritto per le donne ma da fare conoscere e leggere nelle scuole alle giovani generazioni di donne e uomini.

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Elogio dei corpi delle donne: recensione su Il Fatto Quotidiano

Copertina elogio dei corpi delle donne

Oggi è stata pubblicata sul sito de Il Fatto Quotidiano un’interessante recensione attualizzante di Elogio dei corpi delle donne di Gloria Steinem scritta da Deborah Ardilli, storica del femminismo e curatrice del volume.

“Appartiene alla definizione stessa di donna all’interno di una società patriarcale l’esposizione a un destino di oggettivazione sessuale che, per compiersi, necessita di una manipolazione corporea adibita a rendere visibile e palpabile la differenza — ovvero, fuor di eufemismi, la gerarchia economica, politica e sociale — tra i sessi.”

da: Elogio dell’insubordinazione: Gloria Steinem e i corpi delle donne (40 anni dopo) di Deborah Ardilli su Il Fatto Quotidiano

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