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Quarant’anni dalla comune di Greenham: “Arrivammo contro la guerra. Siamo rimaste per il femminismo.”

Nel 1982 Julie Bindel si unì alle 30mila donne attorno alla base in protesta contro le armi nucleari. Qui racconta il punto di svolta che quella protesta rappresentò per le loro vite.

Di Julie Bindel
(della stessa autrice, Il Mito Pretty Woman)


Nel settembre 1981 trentadue donne, quattro uomini e molti bambini marciarono da Cardiff fino a Berkshire per protestare contro l’installazione di armi nucleari alla base aeronautica inglese di Greenham.

L’anno seguente, le fondatrici dichiararono l’accampamento “per sole donne”, e il campo di pace femminile comune di Greenham divenne uno degli esempi più noti e duraturi di proteste femministe degli ultimi tempi.

Il campo fu costruito attorno alla base RAF per protestare contro il posizionamento di armi nucleari americane su suolo britannico. Affrontando la polizia e i soldati, le donne gridavano: “State dalla parte del suicidio? State dalla parte dell’omicidio? State dalla parte del genocidio? Da che parte state?”

Rebecca Mordan, al tempo una bambina, fu portata a Greenham da sua madre. “Era profondamente catturata dal femminismo radicale,” dice Mordan. “Stava sul palo del telefono, di notte, e faceva la guardia al campo, così che le donne potessero dormire. Era all”Università del Femminismo’.”

Nell’agosto 2021, per nove giorni, Mordan ha ripercorso con decine di donne il cammino che nel 1981 la portò da Cardiff alla comune di Greenham, per concludere il viaggio con un weekend di celebrazioni culminate con l’anniversario della marcia.

“Non vogliamo che le donne muoiano e portino con sé le testimonianze di Greenham”, dice Mordan, che ha lanciato il sito Greenham Women Everywhere (Donne di Greenham Ovunque), e ha curato il libro Out of the Darkness, basato sulle storie del campo.

Tra il 1981 e il 2000, quando il campo fu restituito ai residenti, più di 70.000 donne manifestarono, ballarono, cantarono e agirono in prima persona, tagliando le recinzioni e facendo irruzione nelle torri di guardia. Fu la più numerosa protesta di donne dai tempi del Movimento per il suffragio femminile.

“I missili da crociera furono rimossi, le leggi internazionali cambiarono, la base aeronautica fu restituita al popolo. La base costò agli americani milioni di sterline, e intanto queste donne parlavano alle Nazioni Unite. Migliaia di donne aderirono al femminismo radicale, anche se restavano al campo soltanto una settimana. L’esperienza mostrò loro l’oppressione, fece avvicinare le donne borghesi alle donne operaie. Fu vero femminismo intersezionale,” dice Mordan.

La comune di Greenham e i suoi slogan presto divennero fonte di imbarazzo per il governo britannico e americano.

“Nel 1982, quando mi unii a 30mila donne in cammino per Greenham per ‘abbracciare la base’, l’unico mezzo pubblicitario erano le lettere a catena inviate tramite gruppi di donne. La gente sente parlare di Greenham e pensa subito a donne di mezz’età e si chiude,” dice Mordan.  E invece erano donne di tutte le età, di ogni estrazione sociale che si unirono a Greenham.

“Dobbiamo portare avanti l’eredità delle donne di Greenham. I ragazzi e i giovani chiedono sempre ‘Perché non ci hanno parlato di questo? È un furto culturale’”, dice Stephanie Davies, donna di Greenham e autrice di Other Girls Like Me.

“Quando si parla di Extinction Rebellion, si fa spesso riferimento alle Suffragette, ma non si parla mai delle donne di Greenham,” spiega Davies. “Il campo mi offrì un riparo dalla violenza maschile, lo trovai lì in altre donne, specialmente quelle in fuga da relazioni abusive.”

Ricordo che frequentavo un club per sole donne ad Islington il venerdì sera. Da un van scendevano le donne di Greenham, per rinfrescarsi al bagno prima di ballare senza sosta e bersi una pinta. Si riconoscevano da subito per i loro tagli alla moicana colorati e i loro vestiti sporchi, che sapevano di legna bruciata.

Con la vita al campo, molte donne eterosessuali sposate si resero conto che potevano non aver a che fare con gli uomini e instaurarono relazioni con altre donne. Molti giornali avevano dei pregiudizi e descrivevano le donne di Greenham come “sporche, sozze lesbiche”. Con quella singola espressione di odio diveniva facile condannare il femminismo di sinistra e l’attivismo pacifista in un colpo solo.

Scegliere Greenham non fu facile. Combattevo contro stupro e violenza domestica al tempo, e gli obiettivi di affetto e cura delle donne che protestavano per la pace rientravano negli stereotipi sessisti sulle donne. Vivere al campo, al gelo, e mangiare stufato di lenticchie in continuazione erano un ulteriore deterrente.

Eppure io ero attratta dall’idea di Greenham per due motivi: primo, perché le relazioni lesbiche e i legami stretti tra donne venivano normalizzati, e si apriva la possibilità di rapporti alternativi anche a donne che non li avevano mai presi in considerazione: erano tempi in cui l’omofobia la faceva da padrone, prima della Section 28, e molte donne lesbiche perdevano la custodia dei propri figli contro mariti violenti.

Un altro motivo di fascinazione era il modo in cui le attiviste collegavano le forze dell’ordine, il militarismo, la guerra e le quotidiane forme di violenza maschile contro le donne.

Nonostante il campo, il primo missile di crociera arrivò a Greenham nel 1983, ma le proteste continuarono per tutti gli anni ’80: molte donne furono condotte a processo, sanzionate o persino incarcerate.

Il trattato sulle forze nucleari a medio raggio firmato da Stati Uniti e Russia nel 1987 spianò la strada alla rimozione dei missili di crociera da Greenham tra il 1989 e il 1991. Nel 1992 l’aeronautica americana lasciò la base, poco dopo le forze britanniche fecero lo stesso. Al campo di pace le proteste contro le armi nucleari continuarono fino al 2000.

Oggi, parte di Greenham è un’area produttiva, mentre il resto è divenuto suolo pubblico.

Rebecca Johnson arrivò al campo nel 1981 e visse lì per cinque anni. È direttrice e fondatrice dell’Acronym Insitute for Disarmament Diplomacy, che promuove l’uso della diplomazia per il disarmo nucleare, nonché co-fondatrice della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, e vicepresidente del Centro per il disarmo nucleare.

“Molte di noi si unirono contro le armi nucleari e rimasero per il femminismo. Dopo quarant’anni, sembra che si continuino a combattere le stesse lotte. Abbiamo creato connessioni con le donne che in tutto il mondo vivono guerre e conflitti,” dice Johnson.

Forse la nostalgia contribuisce alla gioia che quel campo donò alle donne che non avevano potuto vivere al di fuori di nuclei familiari eterosessuali, o lontane dal controllo degli uomini. Quelle donne che vivevano in comune su una scala così larga sono probabilmente il più brillante gruppo di autocoscienza femminista in tutta la storia del movimento.

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Julie Bindel

Julie Bindel, giornalista britannica, rinomata per le sue inchieste, si è occupata di fondamentalismo religioso, violenza contro le donne, maternità  surrogata, commercio di mogli ordinate su catalogo, tratta di esseri umani e delitti insoluti. Scrive regolarmente per The Guardian, NewStatesman, Truthdig, Standpoint Magazine, e collabora con la BBC e Sky News.

VandA tra i suoi scritti ha pubblicato Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione (2019) e Femminismo per donne. L’unica strada per la liberazione (2023).

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Premessa di Resistenza Femminista a “Il mito Pretty Woman” di Julie Bindel


Resistenza Femminista, 26 novembre 2018


Ieri 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne, tutte noi donne e sopravvissute abbiamo mostrato la nostra forza al mondo prendendo parola contro chi ci vuole vittime passive e mute di fronte ad un patriarcato sempre più pervasivo e violento.

Ieri 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne, tutte noi donne e sopravvissute abbiamo mostrato la nostra forza al mondo prendendo parola contro chi ci vuole vittime passive e mute di fronte ad un patriarcato sempre più pervasivo e violento. Resistenza Femminista e SPACE international hanno organizzato incontri in diverse città italiane: Milano, Bologna, Roma per dire ancora una volta che la prostituzione è violenza maschile e che non accettiamo che questa violenza sia normalizzata, sanitarizzata come “lavoro” o  raccontata come esperienza ‘glamour’ di “liberazione sessuale”. Mentre il 20 novembre a Roma Rachel Moran e Fiona Broadfoot raccontavano la loro esperienza nell’industria del sesso e il loro attivismo a sostegno del modello nordico, il 25 novembre a Parigi la stessa Rachel insieme ad un’altra sopravvissuta di SPACE del Sud Africa Mickey Meji e ad Ashley Judd del Movimento Metoo univano le loro voci per dire basta alla violenza maschile sulle donne e le bambine. Lo stesso giorno in Spagna ha preso parola la sopravvissuta e attivista Amelia Tiganus durante la manifestazione contro la violenza sulle donne che ha visto una grande partecipazione di abolizioniste. La voce delle sopravvissute sta facendo il giro del mondo e nessuno potrà fermarci. Essere una sopravvissuta significa aver vinto contro la violenza maschile, ma la lotta continua tutti i giorni, per questo abbiamo deciso di pubblicare oggi la premessa alla traduzione in italiano da noi curata del libro di Julie Bindel “The pimping of prostitution” adesso disponibile in anteprima per VandA.ePublishing con il titolo “Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione”. La versione definitiva del libro uscirà a gennaio, ma sono già disponibili copie ordinabili qua: https://www.vandaepublishing.com/prodotto/il-mito-pretty-woman/. Come per il libro di Rachel ” Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione”  anche questa traduzione è per noi un atto politico, quello di Julie è un libro denuncia che sfata i falsi miti che circondano la prostituzione:  quello del sex work e della ‘puttana felice”, un’inchiesta dettagliata condotta in 40 paesi per un totale di 250 interviste a sopravvissute, sfruttatori, compratori di sesso, attiviste, accademici/che e personalità politiche.

Il 21 novembre a Bologna Julie Bindel ha tenuto un discorso sulla violenza maschile contro le donne durante la seduta del Consiglio Solenne del comune di Bologna in occasione della celebrazione del 25 novembre. Nei prossimi giorni pubblicheremo il testo integrale del suo intervento che ha profondamente colpito tutti i presenti. Julie a partire dalla sua esperienza trentennale con la sua associazione femminista “Justice for Women” ha raccontato le storie di due donne vittime della violenza maschile, Emma Humphreys e Sally Challen.  Il caso di Emma in particolare mette in luce l’intreccio tra abusi sessuali subiti nell’infanzia/adolescenza, violenza domestica e prostituzione. Il suo fidanzato abusante l’aveva prima comprata quando era prostituita sulla strada a soli 15 anni e poi era diventato il suo sfruttatore. La storia di Emma è emblematica, rappresenta la storia di moltissime donne e ragazze nel mondo che continuano ad essere abusate nell’industria del sesso. Per questo il discorso di Julie è fondamentale: non è possibile considerare la prostituzione qualcosa d’altro, un lavoro, anzi una soluzione alla disoccupazione e alla povertà femminile come dicono certi sostenitori del sex work.  

Il movimento internazionale delle sopravvissute alla prostituzione sta diventando sempre più forte, si espande in tutto il mondo, Julie Bindel ci presenta la sua storia a partire dagli anni ’80 con la fondazione del gruppo WHISPER [Donne che hanno subito violenza nel sistema prostituente in rivolta] fino alla nascita nel 2012 di SPACE international: le donne di tutto il mondo stanno dicendo che la prostituzione è violenza. Sul fronte opposto i gruppi per “i diritti delle sex workers” la cui storia inizia con COYOTE [Basta con la vostra vecchia morale] un gruppo di ascendenza liberista le cui componenti non si trovavano nella prostituzione, ma dicevano di rappresentare la “voce delle prostitute” quando in realtà tra i soci c’erano rappresentanti dell’industria del sesso (tra i finanziatori c’era la rivista Playboy), compratori di sesso, conservatori. Il primo gruppo che grazie a finanziamenti consistenti (anche della chiesa metodista della California) ha avviato il marketing della prostituzione come “liberazione sessuale”, diffondendo il mito della “puttana felice”.  Nel 1985 la risposta delle sopravvissute all’industria del sesso non tarda ad arrivare: Evelina Giobbe fonda WHISPER in contrapposizione al messaggio mistificatorio di chi come COYOTE voleva occultare la violenza intrinseca del sistema prostituente. SPACE international e il movimento MeToo stanno continuando con grande coraggio l’opera di svelamento e informazione sulla violenza maschile nonostante le intimidazioni e la violenza messa in atto dalla lobby pro-sex work che cerca di zittire, censurare, ostacolare in ogni modo una forza ormai inarrestabile. 

Il movimento per l’abolizione della prostituzione è sempre più vitale e si espande nel mondo. Resistenza Femminista ne è parte e la traduzione di questo libro costituisce una scelta politica precisa, sulla linea che da anni perseguiamo di dare voce alle sopravvissute e alle indagini e testimonianze che portano alla luce la realtà di violenza e sopraffazione rappresentata dall’industria del commercio sessuale. Ancora una volta, come per il libro di Rachel Moran, Stupro a pagamento, abbiamo scelto di tradurre e accompagnare il libro e l’autrice negli incontri che via via avranno luogo con lettrici e lettori in Italia. Come Julie Bindel, consideriamo la prostituzione violenza contro le donne e le bambine e dedichiamo il nostro lavoro di attiviste e sopravvissute affinché la realtà di questa violenza emerga con la stessa chiarezza con la quale le donne hanno riconosciuto e chiamato con il suo nome la violenza domestica e la violenza sessuale.

Una delle domande che questo libro pone è: perché è così difficile riconoscere la violenza della prostituzione, o meglio, la prostituzione come violenza, come archetipo di ogni violenza contro le donne? Ci siamo trovate ad affrontarla in una discussione a proposito di come tradurre una frase del libro. La frase è di una sopravvissuta e si riferisce alla fatica che le donne in generale fanno ad ammettere che è la domanda di accesso sessuale ai corpi delle donne da parte degli uomini a sostenere un mercato che, nelle parole di Judith Herman, costituisce “un’impresa mondiale che condanna milioni di donne e bambine alla morte sociale, e spesso letteralmente alla morte, per il piacere sessuale e il profitto degli uomini”. A parere della sopravvissuta Evelina Giobbe, riconoscere la violenza della prostituzione ci impone il compito doloroso di “guardare dall’altra parte del tavolo a cui facciamo colazione”, in altre parole, di guardare chi ci sta davanti tutti i giorni, gli uomini che conosciamo e amiamo: i nostri amici, figli, compagni, mariti, fratelli, padri. In un primo momento ci siamo chieste se la frase fosse un’espressione idiomatica e avevamo pensato di tradurla con “guardare in faccia la realtà”. Poi però ci siamo dette che, paradossalmente, la nostra difficoltà a tradurre letteralmente in quel caso corrispondeva alla difficoltà che Giobbe riconosce ed esprime: la difficoltà di nominare e affrontare il problema che la prostituzione pone per le relazioni tra uomini e donne.

È più facile in effetti dare retta alle ragioni di chi parla di “scelte” delle donne e offre l’immagine rassicurante di un contratto sessuale paritario. Molto più faticoso è ascoltare la voce di chi ci ricorda che quel “contratto” è in realtà il pagamento di un abuso, un pagamento che coinvolge chi lo subisce cancellando la violenza agli occhi della società e rendendo dolorosissimo per chi lo subisce affrontare il proprio trauma e l’invisibilità sociale del proprio abuso.

Tuttavia, affrontare la violenza “nascosta in piena vista” della prostituzione è esattamente ciò che dobbiamo fare se davvero vogliamo avere una qualche speranza di costruire e percorrere la strada che ci porti alla fine della violenza maschile contro le donne. Non c’è da farsi illusioni: la sfida non è semplice. Il Modello nordico che noi sosteniamo intende rendere visibile la responsabilità degli uomini nel mantenimento di un sistema di controllo e oppressione della libertà delle donne. Quel sistema, il patriarcato, si regge su una disuguaglianza che sottrae alle donne la possibilità di lavorare ed essere indipendenti, rafforzando la disuguaglianza con un abuso travestito da lavoro che non fa altro che consolidare l’ingiustizia e la discriminazione. Il controllo sessuale e riproduttivo delle donne è l’obiettivo, perché è alla base di un sistema che non si potrebbe reggere se quel controllo venisse a mancare, ma costituisce anche il punto di partenza e il puntello dell’intero sistema. La risposta di alcuni, di definire la prostituzione un lavoro come un altro, non sarebbe altro che la legalizzazione dell’oppressione e dello sfruttamento delle donne. Non a caso Lina Merlin non ha mai definito la prostituzione un lavoro. Con la legge a lei intitolata, nel 1958 Lina Merlin ha liberato e donne che venivano schedate, rinchiuse nei bordelli e bollate con infamia per l’abuso compiuto su di loro dagli uomini. Definendo come crimine ogni attività volta a favorire e sfruttare la prostituzione altrui, la legge da lei voluta ha compiuto un passo fondamentale per la libertà delle donne. Quello che resta da fare è eliminare gli squilibri sociali ed economici e le condizioni culturali che portano a considerare l’atto di pagare per l’accesso sessuale al corpo di un essere umano – il più delle volte il corpo di una donna, una ragazza, una bambina – come una transazione economica accettabile.

Ha scritto Luisa Muraro:

Secoli di complicità tra uomini, di assoggettamento delle donne, di moralismo ingiusto, di cattiva letteratura e di assuefazione, hanno portato la società a non rendersi conto che la ferita inflitta all’umanità con la pratica della prostituzione, non è più accettabile. E non lo è mai stata. Non ci sono regole che tengano. Così com’è accaduto per i ricatti sessuali sul posto di lavoro da parte di quelli che hanno più potere, verrà il momento – ed è questo – in cui la non eliminabile vergogna della prostituzione, sempre rigettata sulle donne, tornerà alla sua vera causa, che è una concezione maschile degradata del desiderio e della corporeità.

Il filo che collega ogni violenza contro le donne è ormai visibile.

Le sopravvissute e le attiviste abolizioniste lo stanno mettendo sotto gli occhi di tutti e stanno sfidando il meccanismo di difesa di una dissociazione che Judith Herman non esita a dichiarare “praticata come norma sociale”. Di fronte alla prostituzione, a suo giudizio, “la scelta di evitare di sapere opera ai margini della nostra coscienza”.6 La dissociazione è un meccanismo che salva chi subisce la violenza, ma rischia di diventare anche la condanna a vivere in esilio da sé stesse. Per troppo tempo noi donne siamo state in esilio dal nostro posto nella società e abbiamo usato la nostra forza per resistere e sopravvivere. Ma adesso come sopravvissute da ogni parte del mondo prendiamo parola, per denunciare e smascherare il vero volto dell’industria del sesso che stupra e uccide e di chi la alimenta, gli stupratori a pagamento. Quell’industria che si nasconde dietro il mito di Pretty Woman, della prostituzione come lavoro sessuale o “sex work”. Bindel ricostruisce due storie parallele: quella del movimento internazionale delle sopravvissute che da WHISPER [Donne che hanno subito violenza nel sistema prostituente in rivolta], fondato nel 1985 da Evelina Giobbe, arriva fino a SPACE International [Sopravvissute all’abuso della prostituzione che chiedono di illuminare l’opinione pubblica] – movimento di sopravvissute provenienti da nove paesi – e quella della lobby pro-prostituzione, i gruppi per i “diritti delle sex worker”. WHISPER nasceva come risposta al gruppo liberista COYOTE [Basta con la vostra vecchia morale], al cui interno c’erano donne che si spacciavano come “la voce delle prostitute” senza essere o essere state nella prostituzione e uomini che ne sostenevano l’agenda politica, ovvero che la prostituzione fosse un lavoro come un altro: erano politici, studenti, rappresentanti di associazioni, compratori di sesso. Nasceva così il marketing dell’abuso sessuale venduto come potere delle donne (il cosiddetto “empowerment”) e il mito della “puttana felice”. L’espressione “sex work” (“lavoro sessuale”)/“sex worker” (“lavoratrice sessuale”) diventerà la parola d’ordine di una lobby fatta di accademici, assistenti sociali, politici, proprietari di bordelli e di agenzie di escort (come Douglas Fox, dell’International Union of Sex Workers, che si dichiara un “sex worker” pur essendo uno sfruttatore) e compratori di sesso, una lobby ben finanziata con lo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso a livello globale, ovvero trasformare gli sfruttatori in manager e garantire il “diritto” degli uomini di abusare impuniti i corpi delle donne. Ma, come spiega Rachel Moran, la prostituzione non è “né sesso, né lavoro”, il fatto che ci sia di mezzo del denaro non cambia la natura di quello che succede, ovvero che si tratta di stupro, uno stupro anche più traumatico e devastante non solo perché reiterato, ma perché perennemente ignorato, negato, normalizzato dalla società patriarcale.

È arrivato il momento di compiere scelte che ci consentano davvero di immaginare e dunque rendere possibile una società non patriarcale fondata sul rispetto e la libertà per le donne e gli uomini. La prostituzione è misoginia che genera misoginia, odio verso le donne: dobbiamo eliminarla. Questo libro è un’opera fondamentale per procedere nella direzione aperta da Lina Merlin ed è per questo che ci piace ricordare qui l’hashtag con il quale invitiamo tutte le donne e gli uomini a lottare con noi e portare a termine la rivoluzione femminista: #iosonoLinaMerlin.

Ringraziamo Morellini Editore e VandA.ePublishing, in particolare Angela Di Luciano, per avere creduto in noi e per il sostegno alla lotta abolizionista. L’amicizia e la relazione tra donne sono davvero la chiave del cambiamento.

Resistenza Femminista

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Il mobbing sulle sopravvissute alla prostituzione


Resistenza femminista (5 febbraio 2018)


Ogni volta che una donna denuncia la violenza che subisce deve mettere in conto di essere attaccata e denigrata.. […] Ecco il racconto di Julie Bindel di quel che succede quando le donne osano parlare della prostituzione e della sua violenza.

Ogni volta che una donna denuncia la violenza che subisce deve mettere in conto di essere attaccata e denigrata. Accade con il “#MeToo”, accade con la violenza domestica, accade per le sopravvissute alla prostituzione. Ecco il racconto di Julie Bindel di quel che succede quando le donne osano parlare della prostituzione e della sua violenza.

[estratto dal libro “The pimping of prostitution“]

Un numero impressionante di sopravvissute all’industria del sesso mi ha raccontato storie horror di come siano state etichettate come pazze, bugiarde, truffatrici, visionarie e masochiste. È orribile ma non sorprende. Negli anni ho assistito a come le sopravvissute siano state oggetto di bullismo, siano state minacciate, umiliate, calunniate, diffamate dagli attivisti pro- prostituzione e dai rappresentanti del mercato del sesso.

Un esempio si affaccia alla mente. Come giornalista collaboratrice di quotidiani a diffusione nazionale, decisi di fare un’intervista a Rachel Moran in seguito al successo del suo libro diventato bestseller “Paid For” e del suo lavoro di fondazione del movimento delle sopravvissute in Irlanda. Una giovane giornalista femminista che curava una sezione di un prestigioso quotidiano britannico rispose al pezzo con un “no”, dicendo: “circolano voci sulla sua autenticità in più di un ambiente… ”. Le chiesi da dove venissero queste voci ma non mi ha mai risposto.

Sabrinna Valisce conosce bene il modo in cui agisce la lobby pro-sex work. Dopo tutto Valisce ha fatto parte del New Zealand Prostitutes Collective come volontaria per 24 anni. Ha promosso campagne per introdurre la nuova legge che ha depenalizzato i bordelli e la prostituzione di strada perché credeva sinceramente che avrebbe migliorato la condizione delle donne e avrebbe garantito loro maggiore libertà. Dal momento che la lobby pro- prostituzione si basa sulla mistificazione dei fatti, sui miti e sui vecchi classici giochi di potere, è particolarmente insopportabile quando qualcuno di loro passa dall’altra parte.

Valisce mi ha detto che a un evento a Townsville nel quale stava parlando, durante la presentazione del libro “Prostitution Narratives”, un membro senior di Scarlet Alliance (il gruppo australiano della lobby pro-prostituzione) ha tentato in ogni modo di impedirle di parlare. “È salita su una sedia cercando di sovrastare la folla che voleva ascoltare me, fischiando, interrompendomi e urlando” ricorda Valisce. ”Non ho provato rabbia e neanche disturbo. Stranamente mi sono identificata con lei. Penso che avesse paura. Posso capire perché, un tempo sono stata anch’io sulla difensiva“, ‘Non togliermi quello con cui mi guadagno da vivere. Non ho nient’altro. Non so dove altro andare’. L’ho guardata, le ho sorriso, ho annuito e le ho detto ‘Ti capisco’. Non era una risposta preparata, era istinto”.

Valisce aveva poi invitato il membro di Scarlet Alliance e le altre donne pro-prostituzione che la accompagnavano a parlare con lei dopo l’evento. “Una venne da me e riuscimmo a parlare serenamente. Le altre tre mi accerchiarono. Fu una sensazione strana. Poi si avvicinarono e cominciarono a urlare tutte insieme con le voci che si sovrapponevano l’una sull’altra.”

“Vivono costantemente sulla difensiva, ma non riescono ad accettare che non si sia d’accordo sulle soluzioni ai problemi. Non è stato certamente il solo episodio di bullismo che mi sia capitato e neanche minimamente il peggiore. È stato in quel momento che mi sono resa conto di come avessi vissuto sul limite per tanto tempo e di come fare la vita non mi mancasse per nulla.”

Anche Mau è stata oggetto di bullismo da parte della lobby pro-prostituzione che l’ha accusata di aver inventato la storia di essere una sopravvissuta all’industria del sesso. “I lobbisti mi hanno contattata su Twitter e hanno cercato di farmi passare per pazza. Esiste un gruppo di sex workers qui in Germania”, dice Mau. “sono sempre presenti su internet e hanno scritto che ero un fake, che mi ero inventata tutto. Lo dicono di chiunque dica la verità sulla prostituzione”.

Presto Mau si rese conto che molti giornalisti credevano alla storia dei lobbisti pro- prostituzione secondo cui lei avrebbe inventato la sua storia nella prostituzione. “I giornalisti tedeschi non mi contattavano perché pensavano che io fossi una che fingeva. Se cerchi su internet trovi scritto che io non esisto”, dice Mau. “Mi ha hanno mandato mail fingendo di essere una stazione radio che voleva intervistarmi e speravano che gli dessi il mio numero di telefono, ma non l’ho fatto”.

“Der Spiegel mi ha contattata”, racconta Mau, “e dopo avermi intervistata per un articolo sul mercato del sesso ha voluto la prova della mia esistenza, che è piuttosto difficile per me perché non posso dare il mio nome o il mio numero di telefono. È veramente meschino quello che sta facendo la lobby. Non puoi provare che esisti e che sei stata una prostituta. Non c’è nessun pezzo di carta che dice che sei una prostituta”.

LA LOTTA PER IL “DIRITTO” DI VENDERE SESSO

Tre attiviste pro-prostituzione, Terri-Jean Bedford (che aveva precedentemento gestito agenzie di escort), l’accademica Amy Lebovitch e Valerie Scott, hanno trascinato il governo canadese in tribunale sostenendo che la sua legge sulla prostituzione fosse incostituzionale. Le tre donne portavano avanti una compagna per eliminare tutte le leggi riguardanti il mercato del sesso.

Bridget Perrier si trovava in tribunale e, dopo la decisione del giudice, Bedford iniziò a scuotere il suo frustino (Bedford praticava BDSM), divertendo i tanti giornalisti intervenuti per scrivere su quello che stava accadendo. Perrier aveva portato con sé una cinghia che aveva chiamato “il bastone della sua pappona”, raccontando ai giornalisti che era stata picchiata dalla sua pappona con quello strumento tutti i giorni.

In tribunale con Perrier c’era sua figlia adottiva Angel, la cui mamma è stata uccisa da Pickton. “Terri-Jean era troppo codarda per affrontarmi, così si mise a inseguire una diciottenne la cui madre è stata assassinata da un serial killer di donne prostituite”, dice Perrier. “Ma avevo istruito bene la mia bambina. La mia bambina le disse: ‘Sul corpo di mia madre morta non saremo mai d’accordo che regolamentare la prostituzione sia un bene per le donne’”.

“Angel le disse che avrebbe combattuto perché la prostituzione non fosse legittimata, e Terri- Jean si spinse fino al punto di mettere le mani addosso alla mia bambina. Dopo che ebbe finito di punire mia figlia si mise ad inseguire una delle nostre sopravvissute, una ragazza che ha subito torture sessuali da quando aveva 11 anni fino ai 25. Andò da lei dicendole: ‘Perché piangi, questo è un giorno vittorioso per noi’. Mi ricordo la nostra ragazza che la guardava, e c’era una foto di questa ragazza e Terri-Jean sui giornali, e questa sopravvissuta puntò il dito dritto contro Terri-Jean e le disse: “Questo è un giorno d’inferno”.

“La lobby pro-prostituzione ha scaricato le foto delle mie bambine da facebook ”, dice Perrier “e ci hanno scritto sotto ‘le future puttane di Bridget’ . La lobby mi ha mandato foto di bambine che avevano rapporti con uomini adulti. Non riuscivo a smettere di guardare quelle foto perché la mamma che è in me voleva entrare in quelle foto per salvare quelle bambine piccole. Quelle erano bambine di 4 anni”. […]

Alice è stata prostituita nel Queensland all’età di 22 anni. “ Non avevo mai sentito il termine ‘gaslighting’ fino a quando non ho raccontato pubblicamente la mia storia di quando sono stata nella prostituzione”, dice Alice. “Il gaslighting è qualcosa che ho vissuto in modo continuo nella mia vita, a cominciare da quelli che mi hanno sfruttata sessualmente quando ero minorenne, da quando avevo 5 anni, fino all’età adulta, quando l’ho subito da vari altri abusanti e persone violente. Ma per nessun motivo al mondo mi sarei aspettata di incontrare persone che mettevano in atto gli stessi comportamenti dopo che avevano saputo che ero sopravvissuta all’industria del sesso”.

“L’aperta opposizione e il comportamento messo in atto nei miei confronti dalla lobby pro- prostituzione da quando ho cominciato a parlare in pubblico della mia esperienza nell’industria del sesso ha preso di sorpresa perfino il mio io pessimista catastrofico” racconta Alice. “Posso dire adesso con certezza che la lobby pro-prostituzione è il mostro più grande, più spietato e di gran lunga più crudele che io abbia dovuto affrontare, peggio delle malattie mentali che ho sviluppato come risultato di tutti i traumi che ho subito”.

Poco tempo dopo che Alice aveva criticato apertamente l’industria del sesso e raccontato le sue esperienze personali all’interno di essa, la lobby pro-prostituzione ha cominciato immediatamente ad etichettarla come SWERF (femminista radicale che esclude le sex worker), affermando che lei odiasse le donne che si trovavano nella prostituzione. “La lobbypro-prostituzione mette continuamente in dubbio il mio passato e dichiara che mi sono inventata il fatto di aver lavorato nell’industria del sesso,” dice Alice. “Quelli che non mi danno della bugiarda mi dicono che sono ‘naif’ ,‘stupida’ e che sono stata ‘sfruttata e usata’ dalle abolizioniste per portare avanti la loro causa. Altre mi hanno accusata di aver voluto fare soldi pubblicando la mia storia e dicono che rubo soldi alle sopravvissute e alle donne che si trovano nell’industria”.

Alla conferenza “L’oppressione più antica del mondo”, che si è tenuta nell’aprile del 2016 a Melbourne, in Australia, alcuni contestatori sono saltati fuori nel luogo di incontro distribuendo volantini che contenevano propaganda a favore dell’industria del sesso e sui cosiddetti benefici per coloro che scelgono di fare l’esperienza del sex work. In uno dei cartelloni di protesta c’era scritto “Perché essere poveri?” La lobby pro-prostituzione aveva cercato di far cancellare la conferenza prima che avesse luogo sostenendo che la discussione sui danni del mercato del sesso, che secondo la lobby sono invenzioni, sarebbe stata pericolosa per le donne che scelgono di stare nella prostituzione.

Le sopravvissute mi hanno anche raccontato di numerosi casi nei quali la lobby pro- prostituzione irrompeva durante eventi abolizionisti cercando di convincere le donne che erano uscite dalla prostituzione a tornarci, sostenendo che le sopravvissute dovevano aver vissuto delle sfortunate e rare brutte esperienze con i clienti e i papponi, e avrebbero dovuto lavorare nei bordelli “giusti”.

“Durante un evento, appena 10 minuti dopo il mio racconto del trauma terribile che l’esperienza nell’industria del sesso mi ha lasciato,” dice Alice, “una donna è venuta da me e ha iniziato a parlarmi di come si stava rendendo conto delle terribili condizioni lavorative che esistevano nei bordelli nell’area in cui eravamo (un posto dove la prostituzione è legale e regolamentata). Per lei le terribili condizioni di lavoro non includevano gli abusi dei clienti e dei datori di lavoro, o l’abuso massiccio di droghe usate comunemente come mezzo per sopportare i continui traumi”

 “No, per lei, le terribili condizioni di lavoro erano costituite dal fatto che, dal momento che la prostituzione era regolamentata con bordelli legali, chiunque ci lavorasse doveva consegnare una porzione dei suoi guadagni ai propri datori di lavoro. Presupponendo in maniera errata che si trattasse del posto dove avevo lavorato all’interno dell’industria del sesso australiana, questa donna mi assicurò che ‘le condizioni sono davvero migliori nel New South Wales e ti consiglio davvero di venire giù e dare un’altra chance al sex work’. Ero completamente sotto shock – non aveva ascoltato la mia storia che avevo raccontato appena 10 minuti prima? Scoprii più tardi che la donna con la quale avevo parlato aveva di recente lasciato la sua posizione di presidente di un gruppo austrialiano di sex worker – una posizione che aveva mantenuto per almeno dieci anni”.

Sono stata testimone degli abusi e delle calunnie diffuse contro Moran in più di un’occasione. Moran descrive il trattamento che le ha riservato la lobby pro-prostituzione come profondamente lacerante e distruttivo

 Lo stesso schema si ripete nella vita di tutte le sopravvissute che prendono parola in pubblico. A Berlino, durante la conferenza per il lancio del suo libro, la prima domanda che è stata fatta a Moran è stata: “che cos’hai da dire a quelli che sostengono che hai inventato tutto?” “Non c’è da meravigliarsi se le donne più giovani, più vulnerabili sono perseguitate proprio perché prendono parola pubblicamente. Ovviamente si tratta di una strategia consapevole da parte della lobby pro-prostituzione, e queste donne giovani non riescono a reggere lo stress,” dice Moran. “Sono felice di essere arrivata a fare attivismo quando avevo passato i 35 anni ed ero uscita dalla prostituzione da più di dieci anni. Niente può perseguitarmi e sono ben capace di gestire lo stress.”

Il movimento delle sopravvissute all’industria del sesso continua a crescere nonostante gli sforzi di papponi e lobbisti pro-prostituzione. Una cosa che ho capito durante il tempo che ho passato con le sopravvissute abolizioniste è quanto siano piene di speranza e ottimiste, nonostante tutte le barriere e gli ostacoli che devono affrontare.

“Sono qui per fare la differenza ”, mi ha detto una sopravvissuta che ho incontrato nel Minnesota. “Per parlare per conto delle persone considerate inutili. Oggi piango perché sono guarita, perché ho vinto, perché sono sopravvissuta.”