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“Afro-ismo” – recensione su Africa

È uscita sul numero di settembre/ottobre della rivista “Africa” una bella recensione di “Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero” di Aph e Syl Ko.

La potete scaricare e leggere qui.

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“Carne da macello” fra i consigli di lettura della Casa delle Donne di Milano

Carne da macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams è fra i consigli di lettura della Casa delle Donne di Milano.

La recensione, di cui lasciamo un estratto, è firmata da Franca Tombari.

“Scritto nel 1990, viene pubblicato ora in Italia per la prima volta, ma è ancora molto attuale perché esplora la relazione tra il patriarcato e il consumo di carne. Libro chiaro e potente, è un classico del movimento vegano e femminista, conosciuto in vari paesi.

I motivi per non consumare carne, o se si preferisce, i prodotti di origine animale, sono molti: ambientali (gli allevamenti intensivi sono una delle principali fonti di inquinamento da Co2 e quindi del cambiamento climatico),  salutisti (troppa carne fa male), etici (la soppressione di altri esseri viventi animali  non è ammissibile secondo gli antispecisti), ed infine culturali, per la stretta relazione tra il dominio patriarcale e l’ideologia del consumare carne. Adams si concentra su quest’ultimo fatto: evidenzia la stretta relazione tra la violenza sui corpi degli animali e quelli femminili, ugualmente trattati come pezzi di carne, e sottolinea come la carne stessa sia simbolo del patriarcato perché è l’alimento che, si dice, apporta forza muscolare.  Quindi è prediletta dai maschi e serve a costruire una certa idea di mascolinità, mentre, nella cultura in cui è la normalità la  sopraffazione e il dominio, il cibo vegetariano e/o vegano viene  associato ai gay, alle donne  e ai soggetti moralmente e fisicamente deboli. Perciò sono stati osteggiati e ridicolizzati coloro che   volevano   astenersi dal consumo di animali morti: proprio questo avviene quando si mangia carne, si mangiano animali uccisi spesso in modo cruento. La violenza viene allontanata e mascherata: l’animale reale, con la sua vita fisica, viene separato da ciò che viene  messo sulla nostra tavola e per nascondimento diventa semplicemente “carne” che si può consumare  ed anche  abusare. L’autrice conclude: “Il vegetarianismo può essere una parte integrante dell’identità femminile autonoma: è una ribellione contro la cultura dominante, indipendentemente dal fatto che si è dichiarata o meno una rivolta contro le strutture maschili. Resiste alla struttura del referente assente, che rende oggetti le donne e gli animali”.”

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Donne e animali: quattro chiacchiere con Barbara Balsamo su “Carne da macello” di Carol Adams – Vocisinistre

Su Vocisinistre è uscita un’intervista a Barbara Balsamo su “Carne da macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

Eccone un estratto:

“Abbiamo intervistato Barbara Balsamo, che insieme a Silvia Molè, Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati ha collaborato alla pubblicazione dell’edizione italiana di La politica sessuale della carne di Carol J. Adams, pubblicato da Vand.A.edizioni. Barbara Balsamo ha anche curato, e in parte tradotto, Liberazione totale del filosofo americano Steven Best, edito da Ortica Editrice.

Ricordiamo che “Carne da macello” sarà presentato a Roma Martedì 28 Luglio, dalle 18:30 alla Casa Internazionale delle donne.

VOCI SINISTRE: Come nasce l’idea di portare in Italia, a trent’anni dalla sua pubblicazione negli Usa, La politica sessuale della carne di Carol J. Adams?

BARBARA BALSAMO: L’impatto della pubblicazione del libro di Carol J. Adams, ormai 30 anni fa, è stato dirompente e grazie a questo studio i movimenti di lotta sociale, in particolare quello femminista, hanno subito una grande trasformazione rispetto al passato. Ha contribuito e sostenuto l’intersezionalità. In particolare, le istanze antispeciste che fino ad allora non avevano ancora trovato una collocazione tra le lotte sociali hanno iniziato a circolare in ambito femminista. In questi anni chi propone e teorizza l’antispecismo politico ha suggerito numerose prospettive e strategie di lotta. Certamente la prospettiva intersezionale è tra le più significative. The Sexual Politics of Meat è stato tradotto in moltissime lingue, anche in italiano grazie ad Annalisa Zabonati e Matteo Andreozzi e finalmente quest’anno pubblicato dalla casa Editrice Vand.A.edizioni.

VOCI SINISTRE: Nella postfazione curata da te e Silvia Molè c’è questa frase: “Immaginiamo cosa si potrebbe fare se ci si unisse tutti e tutte”. Il tema delle alleanze è molto dibattuto sia all’interno del femminismo che dell’antispecismo. Se, da una parte, la questione femminile e quella animale faticano a guadagnare il giusto riconoscimento da parte degli altri movimenti per la giustizia economica e sociale, dall’altra, gli stessi movimenti femminista e antispecista si trovano continuamente frammentati all’interno, con correnti più radicali ed altre che, spesso, strizzano l’occhio ai fondamenti ideologici che dovrebbero proporsi di combattere. Lo stesso mancato riconoscimento, ad esempio, della necessità di allargare lo sguardo alla schiavitù animale da parte di una buona fetta di femminismo ne è un esempio tangibile. Quali chiavi pratiche offre, secondo te, Adams affinché si riemerga da questa situazione di stallo?

BARBARA BALSAMO: La questione, come hai già esposto nella domanda, è complessa e purtroppo difficile da districare. Tuttavia, ogni cambiamento nei movimenti porta momenti di riflessione e resistenza, come quando sono state elaborate le istanze del femminismo postcoloniale africano. Anche in quel caso ci fu una certa resistenza, oggi, per fortuna, ampiamente superata. Ritengo che queste forme di diffidenza e chiusura siano (ahimé) fisiologiche. L’atteggiamento di chiusura e pregiudizio verso i Rom anche da parte di una certa sinistra radicale ne è un esempio. La questione animale, forse la più ostica da cogliere e accogliere, non è esente da queste dinamiche. Al contempo, la frustrazione derivante dal senso di impotenza che colpisce molti attivisti, soprattutto in ambito antispecista, induce all’identitarismo e quindi all’esclusione sia nelle riflessioni teoriche che nelle prassi degli altri movimenti di lotta. Il testo di Adams è stato un apripista in questo senso, argomentando e analizzando la prospettiva intersezionale tra oppressione della donna e oppressione animale. Ogni giorno assistiamo all’”animalizzazione” della donna. Il punto centrale del testo è il corpo. La reificazione del corpo, delle donne come degli altri animali, e la conseguente sua mercificazione sono un nodo cruciale nell’analisi della studiosa statunitense. Purtroppo, spesso le donne si sentono discriminate nel momento in cui si stabilisce il legame donna / animale come se questa connessione fosse di per sé già discriminatoria. Siamo al paradosso: pensare che sia discriminatorio assimilare la donna all’animale è proprio ciò che dimostra la Adams in Carne da macello. Lo specismo radicato strutturalmente nel pensiero sociale non solo impedisce di cogliere i nessi causali tra specismo e oppressione della donna ma ostacola la riflessione su queste dinamiche di potere interconnesse. In sintesi, le donne rifiutano di essere associate agli altri animali (come spesso si rifiuta l’associazione schiavitù animale/schiavitù umana) poiché considerati per antonomasia inferiori! Un cortocircuito del pensiero che la Adams ha tentato di interrompere, a mio avviso con un discreto ma lento successo. Il corpo è il luogo fisico e simbolico sul e nel quale si manifestano mercificazione e guerre ideologiche. Ed è anche il campo dell’intersezione. Questo processo di gerarchizzazione e de-formazione dei corpi è lo stesso che applichiamo agli altri animali. Proprio dall’oppressione degli altri animali – corpi completamente “altro da quelli umani” – deriva infatti il concetto stesso di smembramento dei corpi. L’analisi della Adams parte da qui e arriva alla teorizzazione del referente assente che è il cardine generativo delle gerarchie e delle oppressioni della donna e degli altri animali. Per poter comprendere a fondo il fenomeno delle oppressioni e la questione intersezionale delle lotte bisogna però chiarire un aspetto imprescindibile: il capitalismo. La genesi strutturale delle società di dominio culmina con il capitalismo moderno. Il fil rouge che passa dalla questione animale gettando un’abbagliante, pionieristica luce sulla prospettiva intersezionale delle oppressioni deve necessariamente partire dalla lotta al capitale che genera e struttura i rapporti di forza e di dominio.”

Per leggere l’intera intervista clicca qui.

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Recensione di “Carne da macello” – Leggere Donna

Su Leggere Donna è uscita una bella recensione di “Carne da macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

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Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero, di Aph Ko e Syl Ko

“Dimenticate ciò che pensate di sapere sul femminismo nero, l’antirazzismo e la liberazione animale. Venite a intraprendere il viaggio insieme a queste due sorelle rivoluzionarie per cambiare il futuro del femminismo, della giustizia razziale, dell’etica e del veganismo”.

Cit. A. Breeze Harper

Nato dal lavoro sul web di due sorelle, “Afro-ismo” è un libro che mette a tema e intreccia animalità, animalizzazione, razzismo e supremazia bianca. 

Le autrici,  Aph e Syl Ko, mescolano gli elementi provenienti dalla cultura pop come i video, i blog e i social network e i concetti degli animal studies, degli studi critici sulla razza, sui neri e sul femminismo con l’intento di mostrare come sia necessario decostruire la relazione che gli umani impostano con gli animali e di come ciò sia un passo fondamentale per iniziare a mettere in discussione tutto ciò che crediamo dato e immaginare nuove vie.

Leggine un estratto…

“Avete mai incontrato qualcuno che mangia carne e vi bombarda
con innumerevoli domande basate su situazioni improbabili
solo per aver messo in discussione le sue abitudini alimentari?
Questa persona solitamente afferma: “Ma cosa faremmo
di tutti gli animali negli allevamenti se questi ultimi
non esistessero più? Dovremmo liberarli tutti in una volta?
Non sarebbe un problema?”. Oppure, avete mai parlato con
qualcuno della fine del sistema carcerario, e questa persona a
un certo punto dice: “Se dovessimo chiudere le prigioni, che
dovremmo fare con tutti i prigionieri, lasciarli semplicemente
uscire?”. Benché queste domande siano frustranti e a volte
prevedibili, mostrano fino a che punto le persone siano colonizzate
dal sistema vigente, tanto da non riuscire nemmeno a
immaginare nuove possibilità. Non sono in grado di figurarsi
un sistema diverso da quello che è stato loro imposto.
Trovarsi in un contesto nuovo e caotico fa parte dell’attivismo,
ed è ciò che ci permette di varcare la soglia di un territorio
concettuale inedito. Quando si abbandonano le più banali
convinzioni, può succedere di non sapere esattamente cosa
fare, ed è questa la situazione in cui dovrebbero trovarsi
molti più attivisti. La confusione è di solito un sintomo della
decolonizzazione del sé dal sistema vigente. Le risposte non ti
vengono semplicemente offerte, dal momento che d’ora in poi
sei costretto a pensare in maniera critica. Devi creare nuovi

schemi e immaginare nuovi modi di interagire con le persone
e di fare le cose. Spesso le persone colonizzate dal sistema contemporaneo
pongono le domande in modo paternalistico,
perché non vogliono che i cambiamenti avvengano, dal momento
che la maggior parte delle persone vive all’interno della
propria comfort zone. Il cambiamento è una minaccia.
Ricordo che una volta dissi a un professore sessista della
mia università che ero femminista. Avevamo appena terminato
una riunione e stavamo uscendo dall’edificio. Mentre camminavamo
verso l’uscita, mi chiese: “So che sei femminista e
non voglio offenderti, posso aprirti la porta? Consenti agli
uomini che ti aprano la porta o ti offendi?”.
Ovviamente, me lo stava chiedendo in tono paternalistico
per deridere le mie convinzioni politiche. Tuttavia, le sue domande
mi hanno fatto capire come fosse lui quello ansioso,
perché non voleva affrontare la sua confusione sulle interazioni
di genere. Era lui a essere ansioso e a non saper cosa fare
quando si trattava di aprire la porta, non io. Del resto, sono
certa che da quando le donne hanno conquistato maggiori diritti
negli Stati Uniti, gli uomini condizionati a considerarci
degli esseri sciocchi hanno reagito negativamente, sottolineando
quanto fossero confusi. Devo pagare la cena? Comprare
fiori? Aprire la porta?
Credo che la confusione sia positiva.
Il discorso sulla cavalleria, con la gente che continua a
chiedere se “la cavalleria è morta” o se dovrebbe tornare di
moda, non riappare per caso: è il contraccolpo all’avanzata
femminista. La mia generazione, quella dei cosiddetti millennial,
prova particolare nostalgia per la galanteria perché evidentemente
era “molto più facile allora”. Era più facile vivere
in un periodo in cui tali comportamenti potevano essere espliciti,
perché non dovevi metterli in discussione: la società ti diceva
cosa fare, come vestirti, come comportarti, e se seguivi il
copione ricevevi la ricompensa.

Molti uomini sciovinisti, aggrappati alle norme di genere
del passato, quando incontrano le donne danno al femminismo
la colpa di aver contribuito alla loro confusione. Sono
convinti che le interazioni di genere siano molto più stressanti
di prima. Tuttavia, non sapere come parlare o come comportarsi
con le donne è qualcosa di prezioso. Significa che non si
guarda più alle donne dal punto di vista univoco che ci vuole
tutte facilmente impressionate da esibizioni di finto rispetto
(aprirle la porta, ma al contempo non prendere sul serio ciò
che dice). Confusione significa che si è entrati in un nuovo
territorio e quel che bisogna fare è pensare. Non sapere cosa
fare perché i tuoi riferimenti stanno cambiando funge da catalizzatore:
dà vita a momenti in cui il tuo sé colonizzato si trova
a confrontarsi, o scontrarsi, con il tuo sé “decolonizzante”.
L’unico modo in cui possiamo ripartire da zero è darci la
possibilità di essere confusi. Gli spazi dell’attivismo sono in
fermento proprio perché le persone non vogliono accogliere
questa confusione necessaria. È divertente buttare lì la parola
“intersezionalità”, ma le persone in realtà hanno paura di creare
connessioni tra i diversi movimenti, perché ciò implicherebbe
creare nuovi schemi per il proprio attivismo. Ed è difficile,
specialmente se l’attivismo che pratichi è diventato la tua
identità.
L’attivismo è fatto quasi sempre di mantra e copioni già
scritti, non incoraggia il pensiero critico o le domande. In
realtà mi sono accorta che, quando ci impegniamo con altre
persone nell’attivismo, spesso si creano situazioni piuttosto
violente, perché riproducono gli stessi problemi contro i quali
si sta lottando. Persino i movimenti di giustizia sociale che si
aggrappano dogmaticamente all’intersezionalità sono spazi relativamente
acritici in cui le persone cercano una struttura da
seguire, non una struttura utile alla riflessione critica. Quando
pensi criticamente, non ti aggrappi necessariamente a un modello
o a un modo specifico di vedere il mondo: cambi continuamente
le prospettive, le dislochi.

Come ho scritto nel terzo capitolo, i vegan bianchi hanno
attaccato il mio articolo sui 100 Vegani Neri perché ritenevano
che spostare l’attenzione sulla razza e sull’animalità nell’ambito
dei diritti animali avrebbe distratto le persone dall’aiutare
“gli animali”. Sebbene molte persone fossero arrabbiate,
alcune sembravano davvero spaventate dal fatto che il
loro movimento stesse cambiando, al punto da affermare che
chi parla di razza e animalità (come me) appartiene a una “setta”
(non sto scherzando). No, non faccio parte di una setta. In
effetti, se non si riesce a interpretare le mie azioni o teorie come
qualcosa di diverso da un culto, allora forse si fa effettivamente
parte di un gruppo con una visione del mondo rigida.
Dato che esiste uno schema già consolidato su come impegnarsi
nell’attivismo per i diritti degli animali, alcune persone
si spaventano quando vedono messe in pratica modalità differenti.
Sono terrorizzate dai tentativi, compiuti da alcuni attivisti,
di mostrare come lo specismo si colleghi al razzismo e al
sessismo, perché “solitamente” non si fa così. Ho incontrato la
stessa ansia nei movimenti antirazzisti tradizionali. Quando
sollevo le questioni relative ad animalità e razza, spesso mi
trovo di fronte una resistenza immediata da parte di gente nera
che non crede che lo specismo abbia qualcosa a che fare con
il razzismo. In effetti, vengo umiliata sia negli spazi fisici sia in
quelli virtuali che hanno già un modo specifico di condurre
l’attivismo antirazzista, in quanto i modi di pensare che li caratterizzano
non sono progettati per interpretare la teoria che
politicizza l’animalità e la supremazia bianca.
Comprendo intimamente quanto possa essere spaventoso
trovarsi esposti a una teoria che trasforma radicalmente il tuo
attivismo. Di recente, mentre mi stavo preparando per una
presentazione e avevo quasi completato gli appunti, mi è capitato
di leggere alcuni articoli di Tommy Curry, docente di filosofia
africana, che sfidano il modo in cui le persone parlano e teorizzano gli uomini di colore e la violenza razziale.

Curry afferma che gli uomini di colore non sperimentano soltanto il
razzismo, ma simultaneamente anche una forma di razzismo
sessuale, considerato che sono regolarmente molestati sessualmente
e violentati dagli agenti di polizia (cosa che i media
mainstream tendono a non menzionare nelle proprie analisi
del razzismo e della violenza della polizia) e sono sottoposti a
traumi sessuali dai tempi della schiavitù. Curry sottolinea in
maniera brillante che, quando inquadriamo la violenza di genere
come un fenomeno che ruota attorno alle donne (in particolare
alle donne bianche), cancelliamo il modo in cui le
donne bianche hanno storicamente aggredito gli uomini di
colore e continuano a commettere violenza sessuale sui corpi
degli uomini neri. Questi articoli hanno frantumato le strutture
intersezionali che avevo usato nel mio attivismo, e ricordo
di essere andata nel panico: ero d’accordo con l’autore e,
proprio per questo, ritenevo che tutta la mia presentazione
non fosse valida perché mi rendevo conto delle mie innumerevoli
lacune concettuali. Tuttavia, ho integrato le sue teorie
perché ero desiderosa di rendere note queste idee provocatorie
e rivoluzionarie a chi mi avrebbe ascoltato.

Sfortunatamente, molti attivisti non permettono che le
teorie e le pratiche a loro care vengano alterate in maniera così
radicale. Alcuni preferirebbero rimanere in un sistema oppressivo
pur di conservare una qualche parvenza di potere, piuttosto
che affrontare nuove idee e nuove voci che destabilizzano
il loro bisogno di controllo.
Nel marzo 2015 sono stata a una conferenza di Angela
Davis nel corso di un ciclo di studi sulle donne. La parte del
suo incredibile discorso in cui mi sono maggiormente ritrovata
è stata l’analisi di come gli attivisti spesso riproducano comportamenti
oppressivi, non permettendo a sé stessi di cambiare
i propri punti di vista. In sostanza, Davis affermava che tutti
noi usiamo schemi nel nostro attivismo. Quando qualcuno
ci offre nuove informazioni capaci di turbare le nostre strutture,
molti di noi si aggrappano ancora più convintamente ai
propri schemi e punti di vista, perché abbiamo paura di cambiare.
Apparentemente non c’è niente di peggio per un attivista
che essere introdotto a una nuova prospettiva o una nuova
teoria capace di sfidare il modo in cui ha fatto le cose fino a
quel momento. Piuttosto che agire come se quella prospettiva
non esistesse, Davis ha suggerito di immergervisi e permetterci
di confrontarci con essa. Il riflesso di girarci dall’altra parte,
che caratterizza anche gli attivisti, è un prodotto della nostra
colonizzazione.
Dobbiamo incoraggiare le persone a mettere in discussione
i propri comportamenti e favorire la confusione, che è una
delle posizioni più rivoluzionarie in cui trovarsi, perché in tal
modo non si è vincolati da comportamenti e norme oppressive.
In questo spazio possiamo tutti essere architetti concettuali.
Le domande smantellano i copioni culturali e la confusione
può produrre nuovi schemi utili al cambiamento. La confusione
è una fase necessaria dell’attivismo e, se ci si accorge di
sentirsi raramente confusi e messi alla prova, allora forse si sta
seguendo un copione”.

Ti è piaciuto questo estratto? Scopri qui il libro: Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero, di Aph Ko e Syl Ko

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Filosofemme – Recensione “Carne da Macello”

È uscita il 27 marzo sul sito filosofemme.it una bella recensione di “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams, firmata da Roberta Landre.

Qui di seguito un estratto.

“Era il 1989 quando per la prima volta negli Stati Uniti venne pubblicato The Sexual Politics of Meat: A Feminist-Vegetarian Critical Theory, di Carol J. Adams e oggi, grazie a VandA Edizioni, possiamo avere il piacere di leggerlo nella sua più recente traduzione italiana: Carne da macello. La politica sessuale della carne (1). Un testo che ha segnato fortemente lo sviluppo dei movimenti femministi e vegetariani grazie alla sua abilità nello svelare le reciproche dipendenze di queste di forme, teoriche quanto pratiche, di resistenza e lotta politica.

L’attivismo praticato da questa autrice è senza dubbio guidato da una riflessione filosofica orientata alla questione femminista-vegetariana: nella vita di Adams (2) possiamo rinvenire i problemi centrali del secolo scorso e di quello attuale, quali la disparità di genere, la violenza che pervade le nostre società, lo specismo e le lotte politiche. Al fine di raggiungere un’inclusività tale da poter mettere in questione ogni aspetto della nostra vita – intesa come perenne relazione con altri corpi e con simboli culturali – e con lo scopo di smascherare ogni forma di violenza che la cultura antropocentrica e patriarcale ci ha consegnato in eredità, Adams si è posta in prima linea.

Come Aristotele ci ricorda nella Poetica l’uomo è per natura un essere che imita, e grazie all’imitazione conosce ciò che lo circonda.”

Per leggere la recensione completa seguire il link:
https://www.filosofemme.it/2020/03/27/carne-da-macello/

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«Così la nostra cultura ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali» – Carol J. Adams su Corriere.it

È uscito sul Corriere online un bell’articolo della giornalista Silvia Morosi su “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

Eccone un estratto:

“Arriva in Italia «Carne da macello», la traduzione del libro considerato la «Bibbia del veganesimo». Il testo esplora la relazione tra patriarcato e consumo di carne, intrecciando le intuizioni del femminismo, del vegetarianismo, della difesa degli animali.

«Viviamo in una cultura che ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali su almeno due livelli: in strutture come macelli, mercati della carne, zoo, laboratori e circhi; e attraverso la nostra lingua. Il fatto che ci riferiamo al consumo di carne piuttosto che al consumo di cadaveri è un esempio centrale di come la nostra lingua trasmette l’approvazione della cultura dominante di questa attività». È questo uno dei punti centrali di «The Sexual Politics of Meat» di Carol J. Adams. Uscito per la prima volta negli Usa nel 1990 e da allora ristampato numerose volte, già tradotto in 10 lingue e ampliato dall’autrice in occasione del ventennale («The Pornography of Meat»), il testo arriva anche in Italia per VandA Edizioni come «La politica sessuale della carne» (dall’8 marzo, con traduzione di Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati). Il testo esplora la relazione tra patriarcato e consumo di carne intrecciando le intuizioni del femminismo, del vegetarianismo, della difesa degli animali e della teoria letteraria. Dalle radici storico-culturali ai messaggi visivi e verbali che nella nostra società e nella cultura popolare associano il mangiar carne e la mascolinità. «Ho avuto l’idea nel 1974 quando studiavo la teoria femminista ed ero appena diventata vegetariana (oggi è vegan, nda). Mentre camminavo verso Harvard Square a Cambridge, mi sono resa conto che il consumo di carne faceva parte di una cultura patriarcale», racconta al Corriere della Sera Adams, «rendendomi conto che il femminismo offriva un approccio teorico per comprendere quanto le proteine vegetali siano più sane, meno distruttive per l’ambiente e per gli animali». “

Per leggere il seguito:
https://www.corriere.it/animali/20_marzo_04/carol-j-adams-cosi-nostra-cultura-ha-istituzionalizzato-oppressione-animali-e6cc5658-5d36-11ea-ad92-9d72350309c8.shtml

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“Carne da Macello” – intervista su Radio Radicale

Radio Radicale parla di noi nell’intervista a Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati, traduttori e curatori dell’edizione italiana di “Carne da macello, la politica sessuale della carne” di Carol J. Adams, realizzata da Cristiana Pugliese con Silvia Molè (membro dell’Associazione radicale Parte in Causa – Associazione Antispecista).

L’intervista è stata registrata martedì 3 marzo 2020 alle 18:45.

Nel corso dell’intervista sono stati trattati i seguenti temi: Animali, Antispecismo, Cultura, Donna, Femminismo, Libro, Societa’.

Potete ascoltare l’intervista al link: http://www.radioradicale.it/scheda/600021

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I corpi consumabili dell’oppressione – L’intervista a Carol J. Adams su «Il Manifesto»

In un momento in cui il pensiero femminista sembra acquistare crescente visibilità nel panorama editoriale italiano, che rende finalmente – talvolta nuovamente – disponibili autrici come Donna Haraway, Monique Wittig, Valerie Solanas, non poteva mancare all’appello Carol Adams con Carne da macello. La politica sessuale della carne (comparso per la prima volta nel 1989 con il titolo di The Sexual Politics of Meat), per i tipi di VandA (pp. 360, euro 18, traduzione di Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati, postfazione di Barbara Balsamo e Silvia Molè). Testo chiave dell’ecofemminismo statunitense e dell’antispecismo militante, il libro propone una critica del carnivorismo patriarcale con l’obbiettivo non soltanto di fornire un quadro dell’oppressione della vita animale, ma soprattutto di mettere in atto nuove pratiche di cura. Allieva di Mary Daly, teologa e femminista radicale autrice di Gyn/Ecology (1978), e per numerosi anni prima di dedicarsi alla scrittura attiva nelle lotte per il diritto alla casa e contro la violenza domestica, nel libro Adams ribadisce che creare alleanze significa innanzitutto lavorare trasversalmente, senza separare umani e non umani, e scardinando le gerarchie che discriminano i viventi e legittimano la subordinazione di alcuni e il privilegio di altri. Il libro, che discute i «testi della carne» nelle diverse tradizioni, pratiche e relazioni sociali della cultura occidentale, e nelle sue espressioni verbali e visuali, insiste sull’interdipendenza fra la violenza simbolica e materiale esercitata sui corpi umani animalizzati e quella inflitta ai corpi degli animali non umani, le cui implicazioni vanno oltre la dimensione di genere: referenti assenti sono tutti quei corpi smembrati, macellati, stuprati, oggettivati che diventano, pertanto, consumabili. In occasione della pubblicazione di Carne da macello (presentato in anteprima a Roma nell’ambito di «Feminism» il 5 marzo alle ore 17 in sala 2 Caminetto con Barbara Balsamo, Silvia Molè e Flavia Fechete) abbiamo intervistato Carol Adams.

(continua a leggere scaricando il pdf)