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Prostituzione e legge Merlin, così la battaglia di Julie Bindel e delle donne smaschera il mito Pretty Woman


di Donatella Trotta (Il Mattino, 4 marzo 2019)


– Il mito Pretty Woman

Il mito e la realtà. L’immaginario (di parte) e le verità delle dinamiche economicistiche. L’edulcorazione fiabesca dello star system – incarnata al cinema dal sorriso di Julia Roberts, prostituta “salvata” da Richard Gere o, nella musica, dall’idealizzazione romantica delle ballate di De André sulle tante Bocca di Rosa – e l’amaro orrore quotidiano della mercificazione concreta, cinica e spietata di corpi bambini, adolescenti, adulti (in prevalenza, ma non solo, femminili) con la sua scia di abusi, dolore, sopraffazioni, sfruttamento e violenza. Sono infinite le trappole ideologiche e le ambiguità semantiche nascoste nell’uso di parole che rischiano – è il caso di dire – di far prendere “lucciole” per “lanterne”. Tipo: il “sesso a pagamento”, che un eufemismo inglese sintetizza come sex work, è davvero un “lavoro”, che necessita di “albo” – e magari di sindacati – per “regolamentarlo”, come sta ad esempio proponendo un progetto di legge di iniziativa statale in discussione al Consiglio regionale del Veneto, dopo la proposta leghista di riaprire le case chiuse? O non è piuttosto – sempre, comunque, dovunque – uno stupro, più o meno autorizzato e/o tollerato dallo Stato, che i fautori della liberalizzazione e legalizzazione della prostituzione annoverano con disinvoltura (come l’invisibilità sociale delle protagoniste, fino alla morte fisica) tra i “rischi del mestiere” più antico del mondo, magari criminalizzando solo le vittime e decriminalizzando i loro sfruttatori e clienti?

La questione è ben complessa. E mentre in Francia la lotta contro l’abuso sulle donne, rilanciata dal movimento mondiale #metoo, ha appena incassato da parte del Consiglio Costituzionale l’ammissione di costituzionalità della legge emanata nel 2016 che introduceva la criminalizzazione dell’acquisto di sesso, messa in discussione, forse converrebbe tener conto di questi distinguo anche da noi, in vista del 5 marzo: quando in Italia la Consulta dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità della legge 20 febbraio 1958, n. 75 sull’abolizione della regolamentazione della prostituzione, più nota come legge Merlin – fortemente voluta dalla partigiana, insegnante e senatrice socialista alla quale si deve l’iniziativa di liberazione delle schiave del sesso nei casini – e non a caso difesa con altrettanta forza, oggi, da molti movimenti femministi e associazioni, con l’hashtag #iosonoLinaMerlin. Ma basterebbe solo leggere le struggenti, toccanti lettere che le donne rinchiuse nelle case di tolleranza inviavano alla Merlin, raccolte dalla Fondazione Kuliscioff e di recente ripubblicate da Giunti (Cara senatrice Merlin… Lettere dalle case chiuse. Ragioni e sfide di una legge attuale) per farsi un’idea concreta – non soltanto storica – del problema. Ben oltre la contrapposizione manichea tra orgoglio sgualdrinesco e “puttanofobia”, o tra sedicente “libertà di autodeterminazione” sessuale – esibiti ad esempio dal manifesto (e dall’Associazione) «Les Putes», lanciato in Francia nel 2007 da Maitresse Nikita e Thierry Schaffauser con il libro Fiere di essere puttane (DeriveApprodi), con tanto di “Putes Pride” promosso ogni 18 marzo – e femminismo antagonista radicale, dopo l’attivismo socio-sanitario, sindacale ed editoriale, capeggiato, nell’Italia degli anni ’80, dall’ex prostituta Carla Corso (coautrice con Sandra Landi di Ritratto a tinte forti, Giunti) con Pia Covre.

Che il dibattito sul tema sia diventato oggi tra i più incandescenti non solo in Italia, ma a livello mondiale, lo sa (e lo documenta) molto bene Julie Bindel, classe 1962, celebre giornalista d’inchiesta (per The Guardian, NewStatesman, Bbc e Sky News) e scrittrice britannica, attivista politica di fama internazionale, fondatrice dell’associazione “Justice for Women” e autrice di un corposo volume-indagine sul commercio globale del sesso da poco nelle librerie italiane: Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione(tradotto da Resistenza Femminista per VandaEpublishing e Morellini editore nella collana VanderWomen, pp. 310, euro 17,90). L’autrice ne parlerà oggi a Napoli (in un incontro dal titolo «Prostituzione. Quale libertà?» a Santa Maria La Nova, ore 17: con lei anche Rachel Moran, autrice di Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, edito da RoundRobin), domani a Roma (ore 17, Casa delle Letteratura, piazza dell’Orologio 3), poi a Milano (il 6 marzo, presso la Fondazione Feltrinelli, ore 18.30, con una Lectio Magistralis su «Sex work: è un lavoro?», promossa in occasione della Giornata internazionale della Donna e nell’ambito delle attività legate al libro e alla lettura BookLab), a Torino (7 marzo, ore 10, Campus Luigi Einaudi, Lungo Dora Siena 100), a Rimini (8 marzo, ore 15, Teatro degli Atti, via Cairoli 32) e nuovamente a Milano (9 marzo, ore 18, nella Libreria delle Donne, via Calvi 29).
Impegnata da decenni su temi come il fondamentalismo religioso, le patologie del patriarcato, la violenza contro le donne, le disuguaglianze di genere, la maternità surrogata, il commercio di mogli ordinate su catalogo, la tratta di esseri umani e i delitti insoluti, Bindel sfodera in questo libro – che rappresenta la prima più completa e sinora unica inchiesta globale sulla prostituzione – le armi del migliore giornalismo investigativo anglosassone: fatto di tenace ricerca e meticolosa verifica delle fonti, paziente raccolta di dati, cifre e testimonianze e di ascolto, osservazione, analisi oggettive e riflessioni personali. Sono centinaia le interviste raccolte da Bindel in un approfondito, appassionato quanto sofferto lavoro sul campo, viaggiando in oltre due anni per le strade e dentro i bordelli legali di 40 paesi, città e stati fra Europa, Asia, Nordamerica, Australia, Nuova Zelanda e Africa, di cui viene delineata una mappa anche legislativa comparativa aggiornata.

L’autrice ha incontrato e dialogato con sopravvissute alla prostituzione e papponi, femministe abolizioniste (la cui storia, spiega, inizia con il coraggio di Josephine Butler nel 1860) e attivisti “pro-sex work” (spesso insospettabili, come Amnesty International), accademici “queer” inclini al politicamente corretto persino nella manipolazione dei “diritti sessuali” dei disabili, poliziotti e uomini di governo, oltre che clienti che vanno abitualmente a puttane, e pornografi. Nel libro, Bindel ricostruisce così sigle, movimenti e motivazioni di opposti schieramenti (come il gruppo Whisper, “Donne che hanno subito violenza nel sistema prostituente in rivolta”, nato negli anni ’80, o Space international, che con donne di tutto il mondo sta dicendo dal 2012 che la prostituzione è violenza) smascherandone bugie e ambiguità (come nel gruppo Coyote, “Basta con la vostra vecchia morale”, che si spaccia per “la voce delle prostitute” ma mistifica messaggi liberisti, come il mito della “puttana felice” per scelta, e interessi ben poco limpidi (tra i finanziatori aveva la rivista Playboy, ma non solo).

«Per decenni – sottolinea l’autrice – la sinistra liberale ha oscillato  fra il pro-sex work e l’abolizionismo. Ma oggi le donne che hanno vissuto la violenza della prostituzione hanno preso la parola contro la favola di Pretty Woman, dando vita a un movimento globale che sta portando avanti una battaglia a favore del Modello nordico, introdotto in Svezia con una legge del 1999 che criminalizza chi acquista sesso e decriminalizza chi vende il proprio corpo, rendendo così  visibile la responsabilità degli uomini nel mantenimento di un sistema di controllo e di oppressione della libertà delle donne: l’unico modello legislativo che protegge davvero i diritti umani delle persone prostituite». Il vento, insomma, sta cambiando, sottolinea la Bindel elencando gli Stati che hanno adottato il Modello nordico (Svezia, Norvegia, Islanda, Irlanda del Nord, Irlanda e Francia) e accumulando e mostrando le prove del fallimento degli esperimenti di regolamentazione del commercio del sesso, dall’Olanda alla Germania (dove come è noto si è arrivati alla deriva etica dei bordelli con prostitute di silicone, anche incinte, su cui esercitare ogni tipo di violenza e tortura: aberrazione inaugurata a Dortmund nel 2017 e replicata, tra le polemiche, da altri Paesi, dalla Francia a Torino, Italia) fino al falso modello Nuova Zelanda, dove il tentativo di “normalizzazione” si è rivelato, sottolinea Bindel, «una licenza per trafficanti, sfruttatori e compratori di sesso di fare ciò che desiderano», a danno delle donne. Una battaglia però – aggiunge la Bindel – «che ha come maggiore antagonista la potente e ben finanziata lobby pro-prostituzione, costituita principalmente da proprietari di bordello, agenzie di escort e compratori di sesso, il cui intento è ridurre la prostituzione a un lavoro come un altro, necessario, innocuo e persino inevitabile, occultando la violenza subita dalla donna e trasformando gli sfruttatori in imprenditori, allo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso e proteggere il diritto dei soli compratori ad abusare dei corpi delle donne».

Una battaglia persa? Un’utopia doncisciottesca? Tutt’altro: per Bindel, «una buona analogia per non mollare è quella con la lotta contro l’industria del tabacco, costellata di campagne di sensibilizzazione, pressione sulle lobbies del tabacco, class action e sanzioni normative che nel tempo hanno ridotto di molto i danni del fumo». La prostituzione, è la tesi portata avanti dal suo libro-inchiesta, va insomma radicalmente debellata in quanto violenza contro le donne e le bambine, che un’industria mondiale condanna a milioni alla morte sociale (ma spesso, letteralmente, alla morte) solo per il piacere sessuale e il profitto maschile. E in barba alla dittatura del “politicamente corretto”, il movimento abolizionista sostenuto da attiviste come la Bindel, o la Moran, sta facendo sentire sempre più forte la sua voce in difesa delle sopravvissute (termine emblematico, ben oltre la tragedia della tratta) al sesso a pagamento: rifiutando le menzogne, i miti e le collusioni annidate dietro ogni tentativo di edulcorazione e legalizzazione dell’industria del sesso, con i suoi profitti criminali derivanti dalla compravendita dei corpi delle donne. Lo ribadisce, nella prefazione all’edizione italiana del libro di BIndel curata da Ilaria Baldini, Chiara Carpita e Ilaria Maccaroni, anche Resistenza Femminista, schierandosi apertamente in difesa della legge Merlin e dell’impegno coraggioso di attiviste che hanno guardato in faccia la realtà del commercio mondiale del sesso, oltre “il mito Pretty Woman”.

E con la consueta lucidità, lo ricorda infine la filosofa Luisa Muraro, collegando la spirale della violenza sulle donne e le dinamiche inique dei rapporti di potere a questo antico e irrisolto problema: «Secoli di complicità tra uomini, di assoggettamento delle donne, di moralismo ingiusto, di cattiva letteratura e di assuefazione hanno portato la società – scrive Muraro in libreriadelledonne.it) a non rendersi conto che la ferita inflitta all’umanità con la pratica della prostituzione non è più accettabile. E non lo è mai stata. Non ci sono regole che tengano. Così come è accaduto per i ricatti sessuali sul posto di lavoro da parte di quelli che hanno più potere, verrà il momento – ed è questo – in cui la non eliminabile vergogna della prostituzione, sempre rigettata sulle donne, tornerà alla sua vera causa, che è una concezione maschile degradata del desiderio e della corporeità». La tutela dei diritti umani e delle pari opportunità passa anche e soprattutto da questo: se non ora, quando?