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Julie Bindel: «Legalizzare la prostituzione non serve»


di Elena Paparelli (Letteradonna, 2 aprile 2019)


– Nel libro Il mito Pretty Woman la giornalista e femminista inglese racconta cosa c’è dietro il mercato del sesso tra lobby e diritti delle donne ripetutamente violati. 

«La prostituzione è una violazione dei diritti umani contro donne e ragazze». Ad affermarlo senza mezzi termini a LetteraDonna è Julie Bindel, autrice del dossier-inchiesta Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione uscito nel 2019 per VandaEpublishing e Morellini editore nella collana VanderWomen (pp. 310, euro 17,90). Contro il mito della ‘puttana felice’, il libro traccia un quadro approfondito del commercio internazionale del sesso – una delle attività più redditizie al mondo – con un lavoro di ricerca sul campo in 40 Paesi, dall’Europa all’Asia, dal Nordamerica all’Australia fino alla Nuova Zelanda e all’Africa, frutto di 250 interviste con papponi, prostitute, sopravvissute, tenutari di bordelli, femministe, giornalisti, agenti di polizia, attivisti per i diritti delle sex workers, associazioni di bisessuali e transgender, vittime di tratta, clienti. Una corposa documentazione per fare il punto su una questione ancora controversa, che divide l’opinione pubblica. Anche in Italia dove spesso, anche nel 2019 su proposta della Lega, si è ventilata la possibilità della creazione di un albo professionale a cui le femministe si sono opposte.

Sul tema Bindel ha le idee chiare: «Sono stata un’attivista femminista contro la violenza maschile nei confronti delle donne dal 1979. Negli ultimi due decenni ho concentrato gran parte delle mie energie nella lotta per l’abolizione del commercio sessuale globale, a fianco di altre donne, molte delle quali sopravvissute allo sfruttamento», racconta la giornalista inglese che ha lavorato per The Guardian, NewStatesman, Bbc e Sky News. «Uno dei miti più perniciosi sul problema propagato dalla lobby del ‘settore’ è che questo non possa essere abolito». Perché esiste una vera e propria lobby dietro all’importante giro di soldi che «il mestiere più vecchio del mondo», come lo definiscono in tanti, frutta. «Molte persone, soprattutto uomini, ma anche alcune donne hanno un interesse particolare a proteggerlo». Con lo stesso identico mantra su cui insistono anche molti politici (anche progressisti e di sinistra): «Se avessi avuto un dollaro ogni volta che ho sentito dire che la prostituzione è sempre stata con noi e sempre lo sarà, le organizzazioni femministe non si troverebbero mai più a corto di fondi». Del resto «negli ultimi anni il commercio sessuale è stato rinominato per dare l’impressione che non sia nocivo». Espressioni come «vendere amore» o «sesso transazionale» cominciano infatti ad essere usate sempre più spesso. «Una terminologia che maschera la realtà di ciò che questo è: una persona, quasi sempre maschio, che ha rapporti sessuali con un’altra persona, quasi sempre femmina, senza desiderio reciproco», aggiunge Bindel.

L’EFFETTO NEGATIVO DELLA DECRIMINALIZZAZIONE
Oggi, il dibattito sull’argomento, svolto all’interno del mondo accademico, dei media, delle associazioni per i diritti umani e di genere, ha raggiunto un punto critico: si parla di decriminalizzare l’intero mercato, e rimuovere tutte le leggi relative al tema, da una parte. Oppure di criminalizzare l’acquisto di sesso secondo il Modello nordico (o neo-abolizionista) creato nel 1999 dalla Svezia e poi adottato da Norvegia, Islanda, Irlanda del Nord, Irlanda e Francia, dall’altra. Quest’ultimo – nato dalla presa d’atto dell’insuccesso del modello di “regolamentazione” della prostituzione legale- intende bloccare la domanda dell’acquisto del sesso, considerato una forma di violenza: a venire perseguito è il cliente che adesca sex worker. Viceversa, la vittima di sfruttamento non viene perseguita. Nel libro viene riportato l’effetto negativo che ha invece prodotto l’approccio opposto in Paesi come Australia, Germania, Olanda, Austria, Nord America e Nuova Zelanda: «Non c’è prova di alcuna diminuzione della violenza, della diffusione dell’HIV o del numero di donne uccise nel mercato legale del sesso mentre ci sono prove che i diritti e la libertà promessi sono andati ai proprietari dei bordelli e ai compratori». A sostenere, però, questo tipo di orientamento ci sono anche l’Organizzazione mondiale della sanità, Human Right Watch e Amnesty International. «Ritieniamo che la ricerca, l’acquisto, la vendita e l’adescamento per il sesso a pagamento debbano essere atti al riparo dall’interferenza dello Stato fintantoché non sussistano minacce, coercizione o violenza associate a tali atti. Gli uomini e le donne che comprano sesso da adulti consenzienti esercitano la propria autonomia personale», si legge nel documento di Amnesty. Intervento che Bindel chiaramente non condivide: «Se l’ong rimane fedele ai suoi principi dovrebbe concentrarsi su coloro i cui diritti umani sono violati, nel caso della prostituzione le donne, invece di quelli, come gli acquirenti del sesso e i protettori, che credono che sia loro diritto umano non rispettare quelli degli altri».