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“Homo donans. Per un’economia del materno”, Genevieve Vaughan

Per Genevieve Vaughan linguaggio e scambio (il commercio, il mercato) non sono poi così distanti. In entrambi, secondo l’autrice, non si fa altro che soddisfare un bisogno.

C’è però nel linguaggio un senso di condivisione che nello scambio è del tutto assente. 

In Homo donans. Per un’economia del materno l’autrice rintraccia un aspetto fondamentale del nostro essere umani: la pratica del dono che consiste in un ascolto attento e sincero dell’altro e dei suoi bisogni. 

In un’indagine che si snoda tra femminismo, linguistica, semiotica, economia e antropologia Genevieve Vaughan propone di riscoprire il valore del dono per farne un nuovo tipo di economia. 

Leggine un estratto…

“Secondo quanto sostiene David Gilmore nel suo testo Manhood in the Making (“Mascolinità in costruzione”, 1990), i valori adottati dagli uomini nel processo di formazione della propria identità possono essere ricondotti a una sorta di “copione della mascolinità” che rimane relativamente invariato a seconda delle diverse culture. Valori quali indipendenza, competitività, eccellenza performativa, coraggio, robusta costituzione e grossa taglia compongono i parametri di questo copione che viene adottato e costruito dai maschi per distinguersi dalle madri.

Credo che possiamo facilmente riconoscere quanto questi valori siano analoghi a quelli del capitalismo: autonomia, competitività, eccellenza performativa, attitudine al rischio e status elevato in base alla “taglia” sociale, per possedere più ricchezza o potere. Avendo abbandonato la pratica del dono unilaterale sia come genere sia come modello di produzione e distribuzione, potrebbe sembrare che solo tramite la legge o il rigore morale e religioso gli uomini (e le donne che vivono all’interno di un sistema capitalistico) possano venire persuasi a prestare attenzione ai bisogni altrui.

Eppure il perseguimento esclusivo del proprio interesse è un vicolo cieco dal punto di vista psicologico. Chi lo pratica finisce per trovare la propria vita priva di “significato”. Trovare significati a livello individuale è impresa virtualmente impossibile giacché, nel linguaggio come nella vita, il significato è legato alla comunicazione e all’orientamento verso l’altro. Ci aggrappiamo alla legge del prototipo maschile come misura del nostro comportamento ma ciò non serve a ricondurci sulla strada del dono, che ci appare sempre più un impossibile e non realistico Eden.

Nel frattempo il modello economico proposto dal copione della mascolinità continua a costruire un anti-Eden, creando miseria laddove dovrebbe esserci abbondanza, gratificando pochi con averi in quantità sempre maggiore e penalizzando molti, innalzando un muro oltre al quale l’Eden del donare rimane celato.

Uno dei vantaggi che il capitalismo ha avuto – forse il suo unico risvolto positivo – è che, attraverso l’istituzionalizzazione dei valori appartenenti al copione della mascolinità e all’introduzione delle donne nella forza lavoro retribuita, esso ha dimostrato che quei valori ipoteticamente “maschili” non poggiano affatto su fondamenta biologiche, considerato che le donne sono state in grado di adottarli con altrettanto successo. Una società basata sul dono unilaterale sarebbe in grado di dimostrare, istituzionalizzando il copione delle cure materne, che nemmeno quei processi sono limitati biologicamente alle femmine”.

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