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Femministe contrarie all’utero in affitto. Ma non si deve dire


di Claudio Risè, (Il Giornale, 22 agosto 2016)


– La sinistra nasconde i dubbi sulla maternità surrogata. In due libri le ragioni del “no”.

Nello stanco scenario della tarda modernità c’è un solo mercato in continuo sviluppo, che garantisca da subito utili a doppia e tripla cifra, anche con investimenti relativamente bassi. Per avviare l’attività basta infatti un sito internet per raccogliere gli ordini e un bi/trilocale dove consegnare la «merce».

Si tratta del tile della maternità surrogata o sotto quello, più tecnico e misterioso, della gestazione per altri, GPA.
Per spianare la strada al mercato (un giro d’affari globale di 10 miliardi di dollari, in fortissima espansione) si è cercato di presentarlo come una conquista delle donne, appoggiata dal mondo femminista. Ma non è così. Si era già visto in Francia, dove la campagna contro l’utero in affitto è stata guidata con grande forza argomentativa dal Sylviane Agacinski, femminista e filosofa (anche moglie dell’ex primo ministro socialista Lionel Jospin), che ripete da anni: «La madre surrogata è la nuova schiava. Ma la sua schiavitù è mascherata dal progresso tecnologico». Donne (anche gruppi omosessuali) erano inoltre gran parte dei partecipanti (e leader) delle enormi Manif pour tous contro la legge della ministra Taubira, che legalizzava i matrimoni omosessuali e le nascite all’estero attraverso GPA.
L’avversione femminile all’utero in affitto, che potrebbe rendere più difficile la legalizzazione in Europa di questo nuovo e fiorente mercato, viene però nascosta nella politica e nei media (soprattutto a sinistra) dalla frettolosa promozione della maternità surrogata, lanciata con le parole chiave: progresso, realizzazione dei desideri, benessere delle donne.
Balle colossali, dicono ora anche in Italia due libri molto documentati sull’argomento. Quello, emozionato e assai caldo, della giornalista femminista Marina Terragni (Temporary Mother. Utero in affitto e mercato dei figli, Vanda epublishing) e quello più pacato della filosofa e esponente femminista Luisa Muraro (L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto, Editrice La Scuola), che ha bruciato la prima edizione in poche settimane.
A indignare Terragni è, come lei dice con chiarezza, che nella GPA «si fa scomparire la madre per contratto in cambio di soldi, precostituendo quello che la creatura vivrà come un abbandono». A sparire sono poi addirittura entrambe le madri, quando gli ovuli impiantati nell’utero affittato vengono anch’essi comprati, da una donna diversa o da un maschio.
Cosa vuol dire poi «maternità surrogata», si chiedono sia Terragni che Muraro, e non per oziosa curiosità filologica. «Surrogato», risponde Terragni, vuole dire «al posto di». Si intende che «la gestante è solo una temporary mother in sostituzione della vera madre, che è la madre genetica (che ha fornito l’ovulo fecondato) o anche solo la madre intenzionale». L’eufemismo della maternità surrogata è dunque solo l’impossibile tentativo (puramente lessicale) di presentare «un ordine simbolico là dove si è creato un formidabile disordine». Muraro poi incalza: «Voi siete i surrogati»! Surrogati sono «quelli che sostituiscono la donna, madre della creatura». Quelli che «realizzano il loro desiderio, facendolo passare per esigenze che hanno creato loro stessi, separando la creatura da sua madre».
Nella realtà, sotto i diversi eufemismi, il grande rischio di questa separazione è di liquidare la maternità, sostituita dal mercato e dalle varie tecnologie riproduttive. E qui le femministe che sostengono il significato della differenza tra femminile e maschile, come appunto Terragni e Muraro, e le altre della Libreria delle donne di Milano e del gruppo Diotima di Verona (e altri) non ci stanno. Terragni protesta, da donna e femminista, contro l’attuale «sinistra trattativista e iperrealista, disponibile a sacrificare buona parte dei valori fondamentali» (e cita il rispetto della dignità umana, il rifiuto dello sfruttamento, l’opposizione alla deriva neoliberistica), «in cambio di sempre nuovi diritti». Le pagine sul dirittismo e le sue follie sono tra le più sferzanti e (pur nell’aspetto horror del quadro complessivo) anche divertenti, come quando cita il parere di una bioeticista, la quale sostiene un «diritto alla nascita» di un bambino neppure concepito, ma tuttavia programmabile con contratto di utero in affitto. Con vistosa contraddizione tra i diritti da riconoscere al bambino che non c’è, ma intanto negati all’embrione che già esiste.
È proprio quando, nota Terragni, il diritto si sostituisce alla relazione umana su temi come l’inizio della vita o la sua fine che «deflagra, e genera mostri», come appunto dove «stabilisce per legge che separare madre e figlio è ammissibile, e accettabile tutto ciò che è consentito dalle tecnologie riproduttive». Oggi, e non solo nelle questioni riproduttive, si è sviluppata, col supporto della retorica dei diritti umani, una potente alleanza fra tecnologia e mercato, che sta uccidendo la potenza generativa delle relazioni affettive, a partire dalla prima e più importante: quella madre-figlio. Ma «se salta la relazione materna», dice Lia Cigarini, fondatrice della Libreria delle donne di Milano, «la neutralizzazione della differenza sessuale è già avvenuta». E, completa Terragni, «se lasciamo slegare al mercato anche il legame tra madre e figlio, il mondo muore».
Una morte dovuta anche alla rimozione da parte di tutti (compresa buona parte delle istituzioni psicologiche) delle scoperte di psicoanalisi e psichiatria novecentesca, confermate poi dall’Infant Observation ed altre pratiche cliniche, su come nella relazione madre figlio «già durante la gestazione avvengono scambi decisivi che continuano dopo la nascita e fanno di quel bambino quello che sarà. È la relazione più intensa che sia dato sperimentare». Distruggerla è devastante.
La pericolosità dell’entrare nel campo riproduttivo con la logica della soddisfazione dei desideri attraverso la tecnologia è già dimostrata dalle ricerche (qui ricordate) di cui ha di recente riferito il British Medical Journal, che dimostrano come i bambini concepiti con la «fecondazione assistita» hanno più probabilità rispetto ai bambini concepiti naturalmente di soffrire di pressione alta, obesità, livelli di glucosio anormali e disfunzioni vascolari. La maternità surrogata poi, naturalmente, è attività ad altissimo rischio di gravi patologie psichiatriche sia per la madre che per il bambino, come avverte il qui citato psicoanalista Luciano Casolari nel suo blog sul Fatto quotidiano.
La logica dell’utero in affitto, però, è lontana dalla realtà dei fatti. Perché è quella dell’onnipotenza, del delirante «mito dell’autodeterminazione». I suoi principi sono altri. Riferisco, da Terragni: Scassare relazioni, per comprare relazioni. I figli che non possiamo avere possiamo comprarli, anzi, se li compriamo è meglio. Puoi comprare, ma anche venderti; il corpo è tuo, l’utero è tuo, c’è un – modesto – guadagno anche per te.
Una malpensante, un po’ anarchica, insomma, Marina Terragni. Chissà perché questo libro mi fa venire in mente un vecchio proverbio milanese: «A pensà màl sa fa pecat, ma se induina semper».