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Eppure c’era metodo nella sua follia


di Serena Guarracino (Leggendaria, maggio 2018)


– Trilogia S.C.U.M. ripropone i testi della femminista passata alla storia per aver quasi ucciso Andy Warhol nell’ambito della guerra dichiarata ai maschi. Ma Solanas ha molte cose da dire anche al femminismo di oggi.

La settima puntata della serie televisiva American Horror Story: Cult, dal titolo Valerie Solanas è morta per i nostri peccati, ripercorre la vita dell’attivista e scrittrice americana; interpretata qui da Lena Durham, a sua volta attivista femminista nella Hollywood contemporanea, la Valerie tradotta nel linguaggio pop barocco della serie tv riprende e problematizza lo stereotipo della femminista squilibrata che odia gli uomini, di cui pianifica l’estinzione insieme alla sua setta (il cult, tema centrale della stagione), la S.C.U.M. o Società per l’Abolizione del Maschio. Ma il disagio mentale di Valerie impedisce il compimento del piano e porta allo sgretolamento della setta: al fondo della sua discesa nel delirio paranoico, l’attivista si trova faccia a faccia con la visione di un Andy Warhol irritante e compiaciuto, che le rinfaccia che l’unica cosa per cui sarà mai ricordata è di avergli sparato, senza peraltro ucciderlo, quel 3 giugno del 1968.

Trilogia SCUM, volume che per la prima volta raccoglie in italiano i testi fondamentali di Solanas, si confronta sin dall’inizio con lo stereotipo quasi fumettistico di questa autrice «impudente, incendiaria, rabbiosa e tragicamente comica», come la definisce Stefania Arcara in apertura della sua ricchissima introduzione al testo. Questa raccolta registra il bisogno attuale di rileggere Valerie Solanas e di emanciparla dalla narrazione egemonica che la riduce al gesto fallito di ribellione contro il sistema. Operazione che però offre il fianco a un altro rischio, quello di guardare a Solanas in maniera nostalgica rendendola una martire dell’ineguaglianza di genere, morta davvero “per i nostri peccati” in solitudine e miseria in una stanza del famigerato Bristol Hotel di San Francisco. Ma Trilogia SCUM evita anche questa trappola rendendo giustizia alle molte sfumature della sua scrittura, e soprattutto all’intreccio paradossale di rabbia e ironia caustica che permette oggi di leggerla come una delle voci più dirompenti del femminismo occidentale.

Il volume offre tre testi fondamentali per indagare il suo pensiero e la sua influenza sulle diverse anime del femminismo contemporaneo. Il primo è il Manifesto scum, privato di quel valore di acronimo (Society for Cutting Up Men) mantenuto dall’altra traduzione disponibile in italiano (S.C.U.M. Manifesto per l’eliminazione del maschio, trad. di Adriana Apa, L’Ortica 2010) e che è invece il risultato di un intervento dell’editore Maurice Girodias per l’edizione del 1968. Il testo era già stato pubblicato indipendentemente nel 1967 dall’autrice, che ne vendeva le copie per strada nel Greenwich Village di New York, al prezzo di un dollaro per gli uomini e di venticinque centesimi per le donne; Solanas lo ripubblica poi nel 1977, ed è su questa versione che si basa la traduzione (con il testo originale a fronte) inclusa in Trilogia SCUM.

Letto attraverso il filtro delle diverse ondate di femminismo che ci separano e allo stesso tempo ci riconducono da Solanas – come dimostrano le introduzioni approfondite e ben documentate delle curatrici Stefania Arcara e Deborah Ardilli – oggi il Manifesto SCUM dimostra un’attualità non scontata tratteggiando un mondo ribaltato in cui le donne utilizzano gli strumenti inventati dagli uomini, come la tecnologia e le armi, per liberarsi finalmente di questo «incidente biologico» che è il maschio e di tutte le formazioni socioculturali che ha prodotto, dall’istituzione matrimoniale al sistema bancario. La sua struttura retorica si basa sul rovesciamento parodico delle attribuzioni essenzialiste di date caratteristiche esclusivamente a uno dei due generi sessuali: se la società che oggi definiremmo etero-patriarcale confina le donne in un orizzonte limitato, sostiene Solanas, è perché il maschio vuole «rivendica[re] come proprie tutte le caratteristiche femminili – forza e indipendenza emotiva, energia, dinamismo, risolutezza, disinvoltura, obiettività, assertività, coraggio, integrità, vitalità, intensità, profondità di carattere, fascino e così via, e proietta[re] sulle donne tutti i tratti maschili – vanità, frivolezza, banalità, debolezza e così via».

La strategia del rovesciamento, tuttavia, non risulta in una celebrazione acritica del femminile. Non solo il Manifesto identifica anche tra le donne le nemiche del nuovo ordine SCUM (letteralmente «feccia») – in particolare le «garbate Figlie di Papà, passive, accomodanti, ‘colte’ […], mentecatte, insicure, avide di approvazione»; ma soprattutto Solanas tocca una nota estremamente attuale per il dibattito femminista contemporaneo, così diviso sulle questioni della gravidanza per altri e della maternità biologica. Il Manifesto propugna infatti l’emancipazione delle donne dal lavoro riproduttivo mediante la tecnologia: «la risposta è la riproduzione artificiale dei bambini». La maternità, nel Manifesto, è infatti sempre rappresentata esclusivamente come lavoro, uno dei tanti modi in cui la ricchezza del femminile viene messa a valore nel sistema socio-economico capitalista, nonché base di quello che la teoria queer (da Lee Edelman a Jack Halberstam) chiamerà poi «futurismo riproduttivo», l’ipoteca del desiderio presente in nome della felicità futura. Nel suo stile dissacrante e provocatorio, Solanas pone la domanda che anche oggi, a cinquant’anni di distanza, ben poche sono in grado di proferire: «Perché dovrebbe importarci di quello che accadrà quando saremo morte? Perché dovrebbe importarci se non ci sarà una generazione più giovane a succederci?».

La rivoluzione parte quindi dal rifiuto del lavoro o meglio dallo «slavoro», neologismo che per Solanas indica il rifiuto di partecipare all’economia oppressiva capitalista e patriarcale. Contro la retorica della forza-lavoro Solanas propone infatti la «forza-slavoro […] la forza che fotte il sistema» inceppandone il ciclo di produzione e riproduzione fino al collasso. Protagoniste di questa rivoluzione sono le «femmine SCUM», «le femmine dominatrici, determinate, sicure di sé, cattive, violente, egoiste, indipendenti, orgogliose, avventurose, sciolte, insolenti, che si considerano adatte a governare l’universo». L’aggettivazione ipertrofica, una delle caratteristiche più macroscopiche dello stile di Solanas a cui la traduzione rende il giusto merito, fa sì che il testo proceda quasi per associazioni libere, attivando un processo che più che alle facoltà razionali fa appello all’inconscio. In questo modo, attraverso il sorriso sollecitato dall’ironia e dal paradosso, il Manifesto accompagna lettrici e lettori verso una consapevolezza degli orrori del presente che, nonostante i cinquant’anni passati dalla sua scrittura, suonano terribilmente attuali.

Prendiamo per esempio l’affermazione «il maschio è per sua natura una sanguisuga, un parassita delle emozioni e perciò non ha un diritto morale a vivere, giacché nessuno ha il diritto di vivere a spese di qualcun altro». Il testo sfrutta la generalizzazione biologico-sociale («il maschio») per generare una risposta dissociativa in chi legge («non tutti i maschi!», penseranno lettrici e lettori benintenzionati). La conclusione assume però un’evidenza catastrofica, che riporta alla mente i numerosi femminicidi a cui assistiamo quasi quotidianamente e che sono ben rievocati da quei «momenti di tregua» descritti da Solanas, momenti che il maschio ricerca ma «che possono essere raggiunti soltanto a spese di qualche femmina». L’unica risposta possibile a questa minaccia continua è lo slavoro anche emotivo, il rifiuto di fungere sostegno per una soggettività insicura e violenta ossia, per Solanas, per il maschio.

Prototipo della nuova posizionalità psicologica e socio-economica della «femmina SCUM» è Bongi Perez, protagonista di In culo a te, testo teatrale che ha visto le scene solo nel 2000 e che vedrà presto una messa in scena a cura di Nicoleugenia Prezzavento, che ne cura la traduzione. Questo testo e il breve Come conquistare la classe agiata. Un prontuario per fanciulle fanno da corollario alla lettura del Manifesto e ne illuminano alcuni passaggi fondamentali con il loro stile a metà tra l’anti-naturalismo e l’autobiografia: Bongi, accattona, barbona, prostituta, è in buona parte un surrogato dell’autrice, così come lo è voce narrante del Prontuario che racconta delle sue strategie di accattonaggio, «un’occupazione estremamente remunerativa, dai grandi stimoli creativi e fortemente incentrata sulle relazioni interpersonali […] un’occupazione, dunque, perfetta per la sensibilità femminile». Entrambi i testi offrono anche una panoplia di personaggi/e tra i più svariati/e: in particolare In culo a te presenta uno stuolo di uomini (il Tipo Bianco e il Tipo Nero, il cliente Alvin e l’artista Russell) tutti mediamente ripugnanti, nonché Ginger, Figlia di Papà a cui Solanas dona una delle battute più memorabili: «è universalmente noto che gli uomini hanno tanto più rispetto per una donna quanto più questa eccelle nel mangiare merda».

Trilogia SCUM si chiude con una ricca appendice in cui le curatrici raccolgono tributi e opere ispirate all’attivista americana dalla sua morte fino al 2016. Tra esse manca American Horror Story: Cult, uscita nel 2017, che pur nella rappresentazione stereotipa della sua figura, ne recupera la potenzialità creativa: la setta di donne SCUM è infatti l’unica a sopravvivere a tutte quelle fondate da leader maschi come, per esempio, David Koresh e Charles Manson. La sopravvivenza di Solanas resta il segno di un tempo difficile, ma anche pieno di possibilità, per il femminismo contemporaneo: ed è significativo che il suo lavoro riemerga oggi, a cinquant’anni da quel ’68 ormai soggetto a un impietoso revisionismo, grazie al lavoro di studiose che non temono a confrontarsi con questa autrice anticonformista e difficilmente irreggimentabile ma che invece la offrono a lettrici e lettori come chiave di lettura imprescindibile per il presente.