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Cinque domande alle fondatrici di VandA

Giulia, Egle, Silvia e Silvia – il team di VandA – giovani donne che vorrebbero intraprende una carriera nel mondo dell’editoria, hanno rivolto alcune domande alle tre donne che nel 2013 hanno fondato la casa editrice: Silvia Brena, Angela Di Luciano, Vicki Satlow. Scopriamo insieme a loro cosa significa essere editore indipendente al giorno d’oggi.

L’editore indipendente: lo fareste di nuovo? Che cosa consigliate alle giovani donne che vorrebbero affrontare una simile impresa?

Silvia – L’avventura di VandA è ed è stata entusiasmante. Seguire la nascita di un libro dalla progettazione all’uscita è come vedere idee, storie e sogni prendere corpo. E poi VandA è una vera “impresa” al femminile: noi donne siamo organizzate e disorganizzate, perfezioniste ma estemporanee, disciplinate e indisciplinatissime. Un’avventura quotidiana!
Angela – Sì, lo farei ancora, le nevrosi sono difficili da guarire. Francamente, considerando le risorse con cui siamo partite, penso che abbiamo fatto il meglio e trovato un business model funzionante, quindi, stando così le cose, non cambierei niente. Ma potendo, cambierei il budget… Al cuor non si comanda!
Vicki – Ripeterei l’avventura di VandA mille volte, magari la prossima con un investitore… Un consiglio alle giovani donne: imbarcatevi in avventure di questo genere solo con cari amici, è un viaggio gratificante ma molto duro.

Tre parole per descrivere VandA ePublishing:

Silvia – Curiosa. Puntigliosa. Coraggiosa.
Angela – Tenace. Coraggiosa. Scanzonata, un’amazzone bambina.
Vicki – Anarchica. Creativa. Audace.

Si parla di un ritorno del femminismo con manifestazioni in tutto il mondo. Dando uno sguardo ai titoli in catalogo, sembrerebbe che VandA si sia caratterizzata nel tempo per un impegno programmatico di sensibilizzazione sulle tematiche del femminile e del materno. Era questo il vostro obiettivo?

Silvia – Il punto di vista delle donne in questi tempi difficili è fondamentale. Per esempio, il pensiero di Genevieve Vaughan sull’economia del dono, di cui VandA ha pubblicato gli scritti principali, rappresenta un’inedita e, secondo me, efficacissima sintesi per ripensare l’economia ai tempi in cui l’1% dei ricchi al mondo è più ricco del restante 99%. Quindi sì, credo che il pensiero delle donne abbia trovato forza e originalità.
Angela – Sì, anche se non dichiarato. Siamo tutte donne e più o meno femministe, e chiaramente è stato il nostro punto di vista fin dall’inizio. Il punto di vista delle donne è fondamentale come approccio politico, sociale, culturale e quindi editoriale. Questa è stata la sfida più importante di VandA e penso che siamo riuscite a dare un vero contributo in questo senso. Sul femminismo attuale nutro qualche perplessità: bene che Christian Dior produca magliette con la scritta “We should all be feminists”, sacrosanto. Ma se le rappresentanti di questo femminismo sono Beyoncé e Sheryl Sanderberg…
Vicki – Non coscientemente, come ogni attività VandA riflette il carattere e la passione di chi la dirige: tre donne con idee chiare, responsabilità civili e sociali. È evidente, io credo, che ogni attività debba essere svolta con passione: senza impegno non ci sono possibilità di riuscita.

A quattro anni di distanza come reputate il percorso di VandA, rispetto alle aspettative iniziali? Credete ancora nella formula dell’ebook? 

Silvia – Un cammino faticoso, ma ricco di spunti e soddisfazioni. E l’editoria digitale resta una delle grandi opportunità per gli autori e gli editori.
Angela – Non è stato un successo ma neppure un fallimento. Ritengo che VandA sia una realtà interessante nel panorama editoriale, non ancora incisiva, ma con un chiaro posizionamento e un lodevole lavoro di ricerca. Al di là di qualsiasi evidenza, ci credo ancora!
Vicki – Fare l’editore è più difficile e il mercato è più povero di quanto potessimo immaginarci quando abbiamo cominciato. Io credo nelle storie e nella lettura in tutte le sue forme.

Infine, qual è l’ultimo libro che avete amato e quale l’ultimo odiato?

Silvia – Oddio, come fa un editore a odiare un libro? Dico un libro che ho amato molto: L’uomo di fiducia, di Herman Melville. Ha qualche annetto, ma  – come sa fare la buona letteratura – è visionario, perché in pieno Ottocento ha saputo spiegare il carattere dell’americano medio bianco… Come dire: ecco perché si è arrivati a Trump!
Angela – Ultimo amato La scuola cattolica di Edoardo Abbinati. L’ultimo odiato? Sono tanti. Uno per tutti l’ultimo di Saviano.
Vicki – Non si può provare odio per un libro, può mancare la connessione, si può non essere d’accordo. L’odio è un concetto che va molto di moda, oggi, ma non ci si può riferire con odio a un’opera d’arte. L’ultimo libro che ho amato? Il Miracolo dell’Acqua, di Masaru Emoto.